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 Museo della Civiltà dell’Ulivo di Trevi

 

I profumi di Cipro
www.ciproatrevi.it

Atena e Afrodite ovvero l’invenzione dell’olio e della bellezza

profumeria e farmacia mediterranea nel 2000 a.C.

23 giungo – 12 novembre 2006 

 

VISITA AL CANTIERE DI SCAVO- Cipro, 4 ottobre 2006
 

Mostra dei reperti archeologici rinvenuti negli scavi della 
missione archeologica italiana a Pyrgos, nell’Isola di Cipro.

 

 

 

LO SCAVO

 

A Pyrgos, villaggio situato lungo la costa meridionale di Cipro a 15 km da Limassol e a 4 km dalla linea di costa è stato individuato ed è tutt’ora in corso di scavo un sito archeologico dove aveva sede un vero e proprio ‘polo industriale’ ante litteram (inizio II millennio a.C.). Il complesso industriale fa parte di un grande edificio di circa 4000 mq., distrutto da un terremoto nel 1900-1850 a.C. circa, che si trovava in posizione sopraelevata al centro di un vasto insediamento del Bronzo Antico e Medio nato verso la fine del periodo Calcolitico nella valle solcata dal fiume Pyrgos e dai suoi numerosi piccoli affluenti. Lo scavo sede di una delle Missioni Archeologiche Italiane all’estero, è alla sua ottava campagna ed ha già restituito rarissime testimonianze sulla lavorazione e produzione di olio d’oliva, vino, profumi, tinture per tessili, rame e ceramiche. L’intatta giacitura delle strutture e dei reperti miracolosamente ignorati per 4000 anni alle porte del villaggio di Pyrgos ha offerto l’occasione di effettuare preziose analisi sui materiali organici contenuti nelle ceramiche e nei livelli stratigrafici. I dati ottenuti che ormai ammontano a migliaia di campionature dimostrano che Cipro possedeva già in epoca preistorica insospettate conoscenze tecnologiche.
Lo scavo affidato dal Dipartimento delle Antichità di Cipro alla dottoressa Maria Rosaria Belgiorno dell'Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali (ITABC) del C.N.R. si avvale anche della collaborazione di ricercatori del CNR, di studiosi dell'Università di Roma "La Sapienza", dell'Università di Cipro, dell' I.C.R.di Roma, del Museo Pigorini e del Museo Archeologico di Madrid. Il progetto, finanziato dal C.N.R. e dal Ministero per gli Affari Esteri, comprende analisi comparate del contesto archeometallurgico e paleoambientale che si avvalgono di sistemi innovativi di indagine strumentale, quale quelli disponibili presso l'ITABC del CNR, per la contestualizzazione paleoambientale dell'area.
 

 

 
 

I REPERTI

Le aree indagate finora hanno riportato alla luce due vasti cortili e due officine per la lavorazione del rame e la produzione di oggetti di bronzo.

Il sito preistorico di Pyrgos Mavroraki è stato scoperto dal CNR (Maria Rosaria Belgiorno in collaborazione con Maria Hadijkosti del Dipartimento delle Antichità di Cipro) nell’area adiacente la Tomba 21 aperta nel 1993, che Maria Rosaria Belgiorno aveva riconosciuto appartenente a un fabbro del Bronzo Medio, per la peculiarità degli oggetti che conteneva. I sondaggi del 1996 e 1997 confermarono l’esistenza di resti di industria metallurgica sul sito e lo scavo regolamentare fu iniziato nel 1998.

Le campagne successive portarono alla luce due grandi cortili e due officine in cui erano contenute tutte le informazioni e le testimonianze materiali atte a ricostruire l’intera catena di lavorazione del rame dal minerale grezzo all’oggetto finito. Per queste testimonianze il sito è unico per integrità di giacitura e antichità dei luoghi. Preziosissimi sono inoltre i dati emersi che permettono di ricostruire nei dettagli le antiche tecniche di lavorazione del rame (2000 a.C.) dell’isola mediterranea più famosa nell’antichità per la produzione e la qualità del rame.

Peculiare è inoltre la situazione logistica degli ambienti di lavorazione del rame che erano tutti (in comunicazione diretta) distribuiti intorno a un grande frantoio, dal quale si attingeva la sansa per rifornire di combustile le piccole fornaci per la fusione del metallo e le forge per la temperatura e la martellatura degli oggetti.

 

 
 

il frantoio industriale più antico del mediterraneo

Siamo di fronte a un rarissimo polo industriale organizzato intorno alla produzione dell’olio d’oliva. I ricercatori hanno infatti portato alla luce il più antico frantoio dell'età del bronzo presente nel bacino del Mediterraneo, dove l’olio si produceva già in quantità industriali, per i più svariati usi domestici e industriali. Sappiamo dalla letteratura antica che nell’antichità con l’olio d’oliva si facevano medicinali e profumi, si alimentavano le lampade degli dei e si ungevano le loro effigi, ma pochi sanno che il suo impiego era fondamentale per l’industria tessile, specialmente per la lana e che il suo potere calorico poteva mantenere il punto di fusione nella lavorazione dei metalli e nella cottura della ceramica.
I muri di pietra e mattoni di fango crollati per il terremoto hanno di fatto protetto tutti gli elementi funzionali della struttura, articolata al centro di una grande stanza di 18 metri per 15, incentrata su di una grande pressa per olive funzionante a leva con una trave di cedro lungo più di 7 metri, al quale venivano appesi blocchi di calcare (ritrovati in fondo alla trave). L’olio veniva raccolto e poi conservato in 10 grandi giare collocate nel lato ovest della stanza, che potevano contenere fino a 500 litri d’olio ciascuna.

Il ritrovamento del sistema pressorio dimostra che Cipro possedeva già all'inizio del II millennio insospettate conoscenze tecnologiche, e che il sistema era molto simile a quello usato dai nostri agricoltori fino a 50 anni fa. Grandi macine e mortai per lo schiacciamento delle olive, e lastre di calcare (80 cm x 70) come basi del torchio, dove venivano impilati i cesti contenenti la pasta delle olive, completano insieme a un incredibile quantità di ciotole, bacili e attingioi il corredo di utensili di cui era provvisto il frantoio

 

 
 

la fabbrica ed il negozio di profumI

 

Nell'isola di Venere, una parte dell’olio prodotto passava nella fabbrica di profumi ricavata nell’angolo Nord Orientale della grande sala del frantoio stesso. “A testimoniarne il funzionamento”, spiega la Belgiorno, “sono cinque macine di andesite, quattro grandi bacili per la preparazione delle essenze e 14 fosse intonacate ancora colme di cenere e carboni dove si sono trovate altrettante brocche che al momento del terremoto contenevano l’olio d’oliva e le essenze in infusione. All’esterno eleganti portaprofumi attendevano di essere riempiti (utilizzando imbuti di terracotta e piccoli attingitoi per dosare le essenze), mentre altri vasi di pregiata fattura già contenevano il profumo di base.

 

Nel corredo erano anche presenti alcuni grandi vasi forniti di un lungo becco laterale, la cui forma ricalca e precorre perfettamente quella della testa degli alambicchi che furono utilizzati in periodo storico per l’estrazione degli oli profumati in Grecia e nel mondo arabo. Come del resto la forma richiama il famoso apparato per distillare rialente al III millennio a.C. (proveniente dai primi scavi di Mohendjio Daro) riconosciuto nel Museo di Taxila in Pakistan dal prof. Paolo Rovesti nel 1975 e ritenuto il più antico sistema distillatorio del mondo. Dalla produzione si passava poi probabilmente alla vendita al dettaglio. Nel cortile adiacente, comunicante attraverso la porta del muro nord, sotto una grande tettoia sostenuta da due grandi colonne si sono trovati infatti preziosi askoi e decine di vasi, bacili, tazze, porta profumi e attingitoi accanto a una grande giara e ad altri tre grandi contenitori anforoidi che fanno ipotizzare la presenza di una sorta di negozio o luogo di scambio come una vera e propria profumeria”.

 

 
 

La farmacia

 

Le essenze farmaceutiche sono state trovate in diversi contenitori, un po’ dappertutto. Specialmente nell’area dedicata alla lavorazione dei tessuti che è stata soprannominata il quartiere delle donne sia per la presenza dell’industria tessile sia per la presenza di monili e vasi di pregiata fattura come le pissidi. Tra i ritrovamenti più interessanti c’è un grande bacile incrostato di resina amalgamata con oppio e vino, una ciotola con scamonea e un vasetto contenente efedrina. Nella stanza dove si lavorava il vino è stato invece trovato un pregiato askos zoomorfo che conteneva chinolina mescolata ad essenza di lavanda.

 

 
 

Il settore dedicato all’industria tessile ha rivelato

la seta più antica del Mediterraneo.

 

Il prof. Giuseppe Scala, esperto in fibre tessili antiche, che fa parte del team di studiosi del progetto Pyrgos ha catalogato e riconosciuto le fibre tessili lavorate a Pyrgos analizzando la terra intorno ai resti del telaio centrale e la terra contenuta nei fori delle 45 fuseruole ,che appartenevano al corredo della stanza. Altre fibre ancora intrecciate tra loro sono state scoperte all’interno di alcuni vasi abbandonati accanto a due vasche tintorie. In uno di questi sono stati scoperti alcuni fili di ‘seta mediterranea’, ottenuta attraverso la filatura dei bozzoli del lepidottero mediterraneo Tortrix Viridens. Un ritrovamento che attesta la conoscenza di questa tecnica tessile in ambiente mediterraneo già all’inizio del II millennio a.C., quando, secondo la leggenda Cinese nasceva in Cina l’arte della seta, prodotta dalla filatura dei bozzoli del lepidottero cinese Bombix mori. Ciò fa supporre che la tecnica sia stata inventata altrove, forse in India e sia stata trasmessa in due direzioni geografiche diverse verso l’inizio del II millennio a.C. La possibilità di addomesticamento del lepidottero Bombix mori originario della Cina ha poi favorito il prodotto Cinese nei confronti di quello Mediterraneo, che richiedeva una raccolta stagionale. Come sappiamo, il segreto dell’addomesticamento e della coltivazione dei bachi da seta fu conservato gelosamente dai cinesi fino al VI secolo d.C. e poi portato in Europa da due monaci. "Della seta Mediterranea parla Aristotele indicando le isole Egee come luogo di produzione ( in particolare Chios), e altri autori greci; ne parla anche Plinio, con cognizione di causa, infatti un batuffolo di seta tortricida miracolosamente scampato alla lava del Vesuvio è stato trovato anche a Pompei nella Casa di Polibio. Questa testimonianza materiale risale però al I secolo d.C., mentre la scoperta avvenuta a Pyrgos ha un ben diverso valore storico, poiché conferma l’ipotesi avanzata dall’archeologo greco Cristos Doumas, direttore degli scavi di Akrotiri a Thera (isola di Santorini, nelle Cicladi, in Grecia), secondo cui la lavorazione della seta nel Mediterraneo orientale era diffusa già nel tardo Minoico (XVI-XVII secolo a.C.). L’ipotesi si basava sul rinvenimento ad Akrotiri di un bozzolo calcificato, attribuito a una specie di lepidottero mediterraneo molto simile della stessa famiglia delle tortrici, la “Pachypasa otus", ma non si aveva la prova del suo utilizzo e della filatura dei bozzoli. I fili di Pyrgos sono invece le più antiche fibre di seta ‘selvatica’ (1850 a.C.) ritrovate nel mediterraneo, visibili e fotografabili, sia pure al microscopio e conservate sotto vetro per ulteriori possibili analisi future, come quelle riguardanti la qualità e l’origine del colore azzurro con cui sono state tinte. La lettura al microscopio (400 ingrandimenti) ha infatti restituito un immagine in cui si riconosce l’esistenza superficiale di una sostanza colorante blu-verdastra di origine sconosciuta.

 

Vale comunque la pena di insistere sull’importante ruolo (già prima citato) dell’olio d’oliva nella fabbricazione dei tessuti e in particolare nell’intero processo di lavorazione della lana che ancora oggi prevede l’uso dell’olio d’oliva nelle moderne filiere. Omero ci descrive i telai della reggia di Alcinoo grondanti olio dai tessuti in fabbricazione e splendide raffigurazioni del V e IV sec.a.C. testimoniano l’uso dell’olio d’oliva durante la fase della filatura. Un’ancella versa olio profumato sui fiocchi di lana che la padrona fila pomposamente seduta su preziosi sgabelli. La stessa scena è raffigurata sui rari e decoratissimi “epinetri” di terracotta, specie di gambali che si poggiavano sopra il ginocchio per proteggere la gamba durante la filatura. L’olio utilizzato per la filatura era profumato come dimostra la forma del vaso raffigurato nell’atto dell’oliatura, l’aryballos, e la recente scoperta di tracce di olio d’oliva profumato al rosmarino in una fuseruola di Pyrgos trovata nella stanza dei tessili (la sola portata in Italia per essere analizzata, ma si sta organizzando di portare i reagenti a Cipro per esaminare anche le altre).
Conosciamo quindi anche l’odore che avevano questi tessuti, adoperato ad hoc per nascondere l’odore caprino della lana non a tutti gradito.

 

 
 

Il vino più antico del Mediterraneo

 

Tra le più recenti scoperte del team di ricerca di Pyrgos c’è quella del “nettare” Mediterraneo per antonomasia, il vino, fatta su reperti del IV millennio a.C. provenienti da Erimi e…. logicamente…. da Pyrgos. Tracce del “nettare degli dei” preistorico sono stati prima individuati (2004) all’interno di alcune brocche con base appuntita a Pyrgos, poi nell’Aprile del 2005 in rare giare del periodo calcolitico provenienti dallo scavo del Dipartimento delle Antichità di Cipro ad Erimi, la cui forma precorre di millenni quella dell’anfora romana, suggerendo la possibilità che l’invenzione di questo vaso estremamente funzionale per il prodotto contenuto, sia in termini di decantazione che di conservazione e trasporto sia una pura invenzione cipriota. “Tale dato” – spiega la direttrice degli scavi – “sottolinea nuovamente l’ingegnosità cipriota nell’elaborazione e nell’invenzione tecnologica in un periodo storico in cui tali conoscenze erano ristrette a poche civiltà. Poiché il più antico vino ricavato da uve selvatiche è stato scoperto nell’area Transcaucasica ad Hajjii Firuz (Armenia) in un vaso biconico, risalente al 5500 a.C., la scoperta di residui nelle giare di Erimi (3500 a.C.) pone Cipro al secondo posto tra i paesi dove il vino fu prodotto nella preistoria, il più antico nel Mediterraneo. A Cipro va anche il merito della trasposizione in terracotta del corno potorio per bere il vino, che attraverso infiniti passaggi diventerà il calice di vetro, accanto al perdurare attraverso i secoli dell’uso del corno potorio per il vino in tutti i paesi Mediterranei e successivi periodi storici si vedano per esempio le raffigurazioni Etrusche, Romane e Medioevali e gli splendidi piatti invetriati ciprioti del 1200 che raffigurano spesso sposi e cavalieri in atto di brindare con corni potori. La campagna di scavo del 2500 ha poi confermato il ruolo di Pyrgos anche nella fabbricazione del vino poiché è stato trovato un ambiente attrezzato con due vasche-tino comunicanti, per la pressatura dell’uva alle spalle della sala del frantoio.

 

 

Ultime scoperte

 

Tra le più recenti scoperte effettuate dal team di ricerca di Pyrgos, che riguardano invece il mondo dell’olio d’oliva c’è quella completamente inedita (in via di prossima pubblicazione sulla prestigiosa rivista Reports of the Department of Antiquities of Cyprus (2005) che sarà in libreria a Dicembre prossimo) di un frantoio calcolitico intagliato direttamente nella roccia carsica sulla terrazza orientale del fiume Kouris prospiciente il villaggio di Erimi.
L’eccezionale ritrovamento riguarda un sistema quello del “canalis et solea” descritto da Plinio il Vecchio e da lui stesso ritenuto il più antico. Di esso si avevano solo notizie e descrizioni e frammenti di una struttura simile trovata in Israele, risalente al periodo calcolitico. Quella di Erimi è pressoché intatta e sarà oggetto di un intervento diretto di musealizzazione. L’impianto consta di una grande vasca rettangolare con angoli arrotondati profonda 30 cm per lo schiacciamento delle olive attraverso pestaggio con zoccoli (solea) o con rulli di pietra. Il liquido ottenuto scivolava attraverso il fondo della vasca che era inclinato verso un’apertura sull’orlo di uno dei lati corti e confluiva in una seconda vasca quadrangolare con le pareti arrotondate profonda più di un metro. A soli due metri da questa struttura, si trovano, anch’essi intagliati nella roccia carsica le strutture della pressa, fornita probabilmente di un sistema a leva. Anche in questo impianto il gioco dei piani inclinati del pavimento permetteva di convogliare l’olio ottenuto nella seconda fase di spremitura in un secondo bacino di raccolta della stessa forma e dimensione del precedente.
 

 

  Mostra fotografica
18 ott.2003 -31 marzo 2004

La mostra dei reperti
23 giugno - 12 settembre 2006

 I profumi nell'antichità
e le essenze usate oggi
 

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Aggiornamento: 04 dicembre 2017.