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Il Beato Ventura da Pissignano

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( Da una commemorazione in S. Francesco il 28/6/1987)

 

1 - INTRODUZIONE

Questa magnifica chiesa dedicata a S. Francesco e l'attiguo ex convento sono legati intimamente alle più importanti vicende del nostro comune. Vogliamo qui ricordarne soltanto alcune.
La prima memoria che se ne ha nei documenti risale al 26 giugno 1258 quando il papa Alessandro IV diede facoltà al guardiano del convento di assolvere i trevani dalla scomunica in cui erano incorsi nell'aiutare la ribelle Perugia.
Dal 1832 l'ex convento ha ospitato il Collegio Lucarini, il benemerito istituto che fino alla recente istituzione della Scuola Media Unica ha permesso a molte generazioni di trevani di conseguire un'istruzione a livello di quella possibile soltanto nelle migliori città.
Mi piace inoltre ricordare che al centro della chiesa c’è il sepolcro di Durastante Natalucci, il grande storico trevano che con intelletto di amore raccolse, per noi e per le generazioni future, tutte le notizie possibili su ogni angolo della patria, su ogni famiglia, su ogni abitante, su ogni fatto degno di memoria.

Ma è nella storia religiosa che questa chiesa riveste un'importanza che travalica i confini del nostro comune.
Proprio in questo punto predicò frate Francesco, e vi compì uno dei quattro miracoli che la letteratura francescana colloca a Trevi. Qui D. Ludovico Pieri, proprio davanti a quel nicchione affrescato in fondo alla parete, concepì per primo in Italia la devozione alla Sacra Famiglia, devozione che da Trevi si diffuse in tutto il mondo, principalmente per merito del suo discepolo D. Pietro Bonilli, che fondò la congregazione delle Suore con questo nome. E infine qui riposano da 677 anni i resti mortali del beato Ventura eremita che oggi siamo a commemorare.

 

 2- GLI EREMITI

Chi erano gli eremiti?
Anche se ci sono ancora persone che vivono completamente separate dal mondo e in assoluta solitudine per raggiungere la perfezione interiore, come a suo tempo fece il beato Ventura, noi oggi stentiamo ad avere un esatto concetto degli eremiti. Nella nostra cultura, basata sempre di più sulla comunicazione e su una sempre più coatta partecipazione sociale, l'idea di vivere da soli senza la possibilità di accedere ai beni e servizi che la società ci offre e dei quali ci costringe a servirci, ci sconcerta e ci atterrisce. Non solo ci appare insostenibile poter vivere senza tutta quella paccottiglia che la cosiddetta civiltà dei consumi giornalmente ci propina, ma terremmo ben poco in considerazione chi non leggesse mai un giornale, o peggio chi non vedesse mai la televisione, o chi non ascoltasse almeno la radio.
Ma nel medioevo la situazione era ben diversa.
Allo sfascio dell'impero romano l'isolamento era un rifugio e una sicurezza. Con le invasioni barbariche, le comunicazioni stradali, alle quali Roma aveva dedicato tante energie, rappresentavano un pericolo immediato e le città, già corrotte e insicure al declino dell'impero, divennero ancor più incorrotte e più insicure con la nuova classe dominante. Fu in questo contesto che ebbe la massima diffusione la vita anacoretica (= ritirata, appartata) ed eremitica (= solitaria, in solitudine) che già era stato il primo tipo di vita ascetica cristiana conosciuta.

"Le prime tracce di cristiani che abbandonarono il mondo in vista di una maggiore perfezione spirituale si hanno nel III secolo e con la persecuzione di Decio, ma nel corso di pochi decenni l'ascetismo cristiano crebbe e si sviluppò straordinariamente. Vi contribuirono il mondanizzarsi di molte chiese, con le conversioni in massa dopo Costantino. L'anacoretismo dapprima attenuato (riunioni per il culto, raggruppamento di `discepoli' attorno a un `anziano') cedette sempre più il posto a forme di vita ascetica associata, sebbene avesse, a tratti, delle riviviscenze notevoli. La tendenza alla vita ascetica, manifestatasi dapprima in Egitto, si propagò successivamente a tutto il mondo cristiano."

"Tra i vari tipi di asceti si possono distinguere i RECLUSI, in grotte o celle, talvolta in un monastero, o - specie le donne - nel muro di una chiesa; "gli STAZIONARI, che per la loro penitenza stavano sempre in piedi; gli STILITI che dimoravano sopra una colonna e i cosiddetti PASTORI che conducevano vita nomade."

"L'Occidente vide più tardi popolarsi di solitari le foreste e le caverne dei monti."
"In Italia alcuni orientali, tra cui il siro Isacco, si diedero a questo genere di vita" proprio nelle nostre zone, "nelle vicinanze di Spoleto". Si ha notizia di asceti intorno a Norcia (Fiorenzo) e lo stesso S. Benedetto "aveva iniziato così la sua vita religiosa nello speco di Subiaco; ma costatati i pericoli a cui si esponevano molti segregati nell'eremo senza preparazione sufficiente, diede ai suoi discepoli la celebre Regola, che ai vantaggi di una vita cenobitica, cioè in comune, accoppia quelli di una relativa segregazione, in certi casi, perfino degli altri membri della comunità."

"Con l'andar del tempo infatti prevalse sempre di più la vita cenobitica", ma "nei secoli 12° e 13° era ancora grande in Occidente il numero degli eremiti indipendenti che portavano un abito religioso arbitrario, dando luogo anche ad abusi che provocarono provvedimenti da parte dei papi."

 

3 - LA VITA

Tra questi eremiti isolati va inquadrato il Beato Ventura, la cui vita viene così sinteticamente esposta dal Natalucci, il grande storico locale già ricordato.
"Il beato Ventura dal

Castello di Piscignano, chiamato comunemente da Trevi, non solo perché detto castello fu per il passato della giurisdizione trevana, ma ancora perché, vivendo, il medesimo beato dimorò nella grotta di S. Marco - la quale anche presentemente nel distretto di Trevi - dove venne sovvenuto di elemosine e spendé il tempo nelle mortificazioni, orazioni e lagrime ed in ricibare il prossimo con le carità [che] gli si portavano; esortando ciascuno a far sempre del bene e a fuggire il male; specialmente nel dire: 'SIA LODATO E BENEDETTO IDDIO', non senza ristarne inteso miracolosamente anche da quei [che] li stavano assaj lontani, sparsi per tutta la valle spoletana, intonando tal detto dal luogo suo a fine rispondessero i popoli assuefatti ad udirlo: "SIA BENEDETTO IDDIO". Donde, dotato di spirito profetico, predetta la santità della Beata Chiara di Montefalco allora vivente e i prodigj che poj gli si scoprirono nel cuore, per le molte altre virtù, avendo ornata la vita sua con più miracoli, la quale finì l'undici luglio dell'anno di N. S. 1310, si meritò il titolo di beato e di santo."

Alla fine del XVI secolo, in occasione del rifacimento dell'altar maggiore, furono trovate le spoglie mortali del beato nell'arca di pietra che ora sta in fondo alla chiesa. Sembrerebbe che il ritrovamento sia stato casuale: forse i venerati resti, come molte altre reliquie nel medioevo, erano stati accuratamente nascosti per evitare che venissero trafugati e successivamente si era persa la memoria della loro ubicazione. Muzio Petroni (che per l'occasione ritrascrisse la vita) chiese ed ottenne di poter degnamente sistemare nella sua cappella di famiglia le ossa del Beato. La traslazione avvenne, come dice poeticamente il Natalucci, "il dì 26 dicembre 1593, che resesi placido come giorno di primavera", "con solenne concorso de' populi, specialmente del castello di Piscignano".

Trevi - Beato Ventura eremita
Stampa tratta dal volume di Tolomeo Petrelli Lucarini del 1694.

 

 

4 - NOTIZIE E FONTI

Il Natalucci, come suo costume, riporta puntigliosamente per ogni frase tutte le fonti da cui ha attinto la notizia, dandoci così modo di poter ragionevolmente discernere le notizie inoppugnabili da quelle un po' fantasiose. Infatti anticamente le vite dei santi, specialmente se scritte a notevole distanza di tempo dalla morte, venivano semplicemente "inventate". Anche se questo quasi ci scandalizza, dobbiamo considerare che le biografie dei santi venivano composte non per fornire un saggio di una storia documentata, ma soltanto al fine di edificare i fedeli con la narrazione delle gesta del protagonista. E per dare più forza e persuasione al racconto venivano propalate delle semplici favole, sia pure al solo scopo di far emergere con più forza una verità conclamata e non certo per imbrogliare i destinatari del messaggio.
Questo metodo fu applicato addirittura a Gesù Cristo, quando nei Vangeli appunto detti "apocrifi" si raccontavano delle pie leggende per esaltarne alcuni aspetti della vita e della personalità scarsamente comprensibili per i più dalla difficile interpretazione di molti passi dei Vangeli autentici.
Ebbene, la vita del beato Ventura fu scritta dal concittadino Muzio Petroni nel 1593, quasi tre secoli dopo la morte, ma si rifà ad un'altra biografia, allora esistente presso il convento di S. Francesco, della quale purtroppo non se ne conosce la data anche se, a detta dello stesso Petroni, doveva essere antichissima.
Si ha notizia anche di un altro manoscritto della vita del beato, manoscritto trovato "quasi affatto consunto" insieme alle spoglie mortali quando fu aperto il primitivo sepolcro, forse una copia di quello che cita il Petroni e che pertanto sarebbe stato scritto immediatamente dopo la morte del Beato.
Esistono inoltre altre fonti e diversi altri documenti che danno alla figura del Beato Ventura un valore storico ben differente da quello che se ne può ricavare dalle "vite" scritte soltanto per edificazione dei fedeli.
Oltre ad essere citato da vari autori come lo Jacobilli nelle "Vite dei Santi dell'Umbria", e nel "Leggendario Francescano" del P. Antonio da Venezia, documenti relativi al beato Ventura si trovano nel nostro archivio comunale, essendo nominato più volte nelle varie riformanze e nello Statuto. Nell'archivio notarile esiste invece il minuzioso rogito della traslazione del corpo, redatto dal notaio ser Antonio Lelii il 26 dicembre 1593.

Ma il documento più probante della santità del beato Ventura citato dagli atti del processo di canonizzazione della Beata Chiara di Montefalco. Tra le più antiche testimonianze che si cominciarono a raccogliere pochissimi giorni dopo la morte di Chiara, avvenuta nel 1308, viene citato Santo Ventura da Trevi che ne aveva proclamato la santità in vita e aveva profetizzato dei miracoli che lei avrebbe operato dopo la morte.
La notizia riferita anche dall'agostiniano P. Giovanni Matteo Giberti nel suo "Specchio di santità e miracoli nella vita e morte della B. Chiara da Montefalco" edito nel 1693, riportando le parole del beato Ventura "Una religiosa che si chiama Chiara supera l'altre in santità e di molto merito appresso Dio" e ancora: "Morta che sarà, si sentiranno molte novità e si scopriranno molti miracoli".
Vorremmo inoltre far notare che, nonostante il Nostro sia praticamente del tutto sconosciuto ai più, è stato ricordato da moltissimi autori, oltre a quelli succitati, fino ai giorni nostri. Citiamo tra gli altri Tolomeo Petrelli Lucarini che ne ripubblicò la vita del Petroni nel 1694, il Bragazzi, nel secolo scorso e poi Tommaso Valenti, Salvatore Marino Mazara, D. Aurelio Bonaca e negli ultimi anni, Silvestro Nessi e D. Giovanni Bertassi, preside dell'attigua Scuola Media.
Possiamo ora così riepilogare le notizie da assumere con ragionevole certezza.
L'eremita Ventura si ritirò in una grotta che ancora ai tempi del Natalucci - dopo la perdita del castello di Pissignano - era sita nel territorio di Trevi. Di conseguenza sarebbe da escludere che fosse una grotta vicino al convento francescano ma sembra più verosimile che sia quella riscoperta recentemente sul versante sud del colle, prospiciente il fosso da sempre detto di S. Marco, che dalle Fontane di Lapigge scende verso le Fonti del Clitunno. Ora che è stata liberata dal terriccio e dalla vegetazione si può vedere una grotticella, resto della cripta di una vecchia chiesa di cui rimane anche un muro laterale o di sostegno. Questa ubicazione ben corrisponde anche alla descrizione che ne fa il Petroni: "se n’andò in un eremo abbandonato e sequestrato dall'umano commercio, nel qual luogo, quasi venisse offerta dal suo Signore, trovò edificata una cameretta con un oratorio in honore del Beato Marco Evangelista".

Durante la sua vita il beato Ventura, pur essendo in un luogo appartato, non fu "fuori dal mondo", ma con il mondo comunicava più volte al giorno con la giaculatoria che proclamava con voce tonante e le risposte che ne riceveva. Questo particolare, riportato nella biografia del Petroni che lo riprende dalla "vita" precedente da considerarsi coeva, può ragionevolmente essere accettato come fortemente attendibile, anche perché, a quanto ci risulta, una caratteristica del genere non stata mai attribuita a nessun altro personaggio oltre che al Beato Ventura. Il fatto, riportato dal Natalucci come miracoloso, che la voce venisse udita dai lavoratori dei campi e delle vigne non appare poi così strano poiché dobbiamo ritenere che a quei tempi i territori in collina fossero abitati e regolarmente coltivati e non sembra inverosimile che, in assenza di tanti rumori che oggi ci bombardano, una voce robusta potesse giungere dal sasso che sovrasta la grotta fino al fondovalle.

Dagli atti inoppugnabili del processo di canonizzazione di S. Chiara di Montefalco emerge che, oltre al carisma della preveggenza profetica, l'eremita Ventura aveva contatti con la gente e si interessava delle cose che accadevano nel mondo. Ed è da ritenere verosimile che i pellegrini che si recavano fino alla grotta per visitarlo andassero a chiedergli consigli e conforto.

La fama della sua santità non fu inventata a posteriori ma fu unanimemente riconosciuta essendo egli ancora vivente, tanto che, il giorno seguente la sua morte, le salma fu traslata nella chiesa di S. Francesco e fu deposto sotto l'altar maggiore.

Numerosi documenti di vari archivi citati dal Natalucci, confermano che la chiesa di S. Francesco, allora di recente costruzione, fu per molto tempo intitolata al Beato Ventura o a San Ventura, e con l'attributo di Santo indicato anche negli atti del processo di S. Chiara. Ciò nonostante non risulta che si sia mai celebrato un processo di canonizzazione del Beato Ventura.

In tempi tanto poveri fu ritenuto degno di sepoltura marmorea e fu riutilizzato l'imponente sarcofago che si può verosimilmente supporre essere appartenuto ad un notabile longobardo.

Per vari secoli fu oggetto di culto, risultando dai libri di spese e perciò inoppugnabili, che si celebrava regolarmente la sua festa.

Oltre che dalla celebrazione della festa, si può rilevare che il culto sia stato ininterrotto attraverso i secoli da altre inoppugnabili testimonianze, come l'affresco del 1414 nella cappella Petroni, la tela nell'altare di S. Francesco del 1598, la biografia del Petroni del 1592, la riedizione che ne fa il Lucarini nel 1694 e l'Historia del Natalucci dei primi del '700.

 

5 - SANTI LOCALI

Abbiamo visto come il nostro Beato sia stato sicuramente un uomo eccezionale, ma un uomo che, anche se lontano nel tempo, possiamo considerarlo per certi aspetti molto vicino a noi. Un uomo che calpestò questa nostra terra, che si affacciò a contemplare questa nostra valle e i magnifici monti azzurri che si vedono all'orizzonte. Un uomo che in una parola "visse" qui, amando Dio e il prossimo con passione, sopportando le avversità con coraggio, perseverando con forza nella difficile ricerca del Bene.
Un'anima eletta, certamente, ma in fondo una delle tante che hanno lasciato una traccia della loro fama di santità in questo prediletto angolo di mondo. Perché ognuno di questi colli, ogni vicino villaggio ha ospitato nei secoli delle anime eccelse la cui fama stata tramandata fino a noi.
Soltanto la nostra enorme distrazione ci ha fatto dimenticare tanti valorosi campioni della fede che pure furono oggetto di venerazione e di culto da parte dei nostri padri.
Ora vogliamo qui, sia pur rapidamente, ricordarli, per atto di doveroso omaggio e, perché no, anche per un legittimo senso di orgoglio nel sentirci eredi di tanto retaggio.
Accanto al già noto S. Emiliano, dobbiamo certamente annoverare i suoi tre compagni citati dalla "Passio" e cioè Dionisio, Ilariano ed Ernippo. Ma qualche autore narra che in quel periodo ci fu a Trevi una grande schiera martiri, forse addirittura mille.
Una tradizione antichissima narra che S. Costanzo, vescovo e protettore di Perugia, fu martirizzato a Trevi, nel luogo tuttora denominato la Costarella, anzi, la Costarella di S. Costanzo.
E sono trevani i santi Vincenzo e Benigno martiri, precisamente di Bovara, ove, proprio in questi giorni sono solennemente festeggiati.
Secondo atendibili autori, S. Concordio, altro antichissimo martire, fu sepolto vicino alle fonti del Clitunno.
Il Beato Ciaccaro o Zaccaro, da Castel S. Giovanni, quando questo castello, come Pissignano, faceva parte del Territorio di Trevi, citato in un breve di Clemente VI, da Avignone.
Il Beato Tomasso dei minori, che ebbe tanta fama di santità ed è citato nelle cronache francescane come il Beato Tomasso da Trevi, fondatore della congregazione dei Clareni.
Ma ci sono ancora i Venerabili Fra Bernardino dalle Coste e Fra Gregorio, ambedue cappuccini e ancora Fra Mario dell'Amatrice e Fra Onofrio della Fiamenga, francescani, che vissero molto tempo a Trevi e che malgrado la francescana povertà, furono ritenuti degni di una sepoltura marmorea, nella seconda cappella a destra nella chiesa di S. Martino.
Inoltre, tra quelli cronologicamente più vicini a noi, possiamo annoverare la Serva di Dio Donna Maria Luisa Prosperi, benedettina, il beato Antonino Fantosati, vescovo francescano missionario, il beato Placido Riccardi, unico trevano al quale intitolata una grande piazza di Roma, il servo di Dio D. Pietro Bonilli - che prossimamente, a Dio piacendo, salirà alla gloria degli altari - e infine la magnifica figura del già ricordato don Ludovico Pieri, che di don Pietro e di don Placido fu padre spirituale.
Giova qui ricordare che quelli della nostra generazione - i meno giovani - hanno ricordato ben due beatificazioni di trevani (Fantosati e Riccardi) . . . e se riusciremo a sopravvivere fino alla prossima primavera, con quella di Bonilli saranno tre!
[Rispetto alla data di stesura di questa relazione, passati ormai sedici anni, ci sono importanti aggiornamenti di cui tener conto: don Pietro Bonilli fu beatificato il 24/4/1988, Antonino Fantosati fu proclamato "santo" il 1 ottobre del 2000 ed è ormai allo stadio finale il processo di canonizzazione di Donna Maria Luisa Prosperi (2003)].

Ebbene, tutti costoro insieme ad un'altra moltitudine di anime elette, che nel corso dei secoli hanno vissuto su questa nostra terra come noi e di cui nel tempo si è perso memoria, non possono restare indifferenti alle nostre ansie, alle nostre gioie, alle nostre speranze.
Credo fermamente che se fossimo un po' meno distratti dal fragore del mondo e riuscissimo a raccoglierci con fede e umiltà sentiremmo certamente aleggiare qui vicino a noi lo spirito glorioso del beato Ventura e di tanti altri nostri campioni della fede. E se riuscissimo solo per un attimo ad abbandonarci con fiducia alla loro guida e alla loro intercessione, certamente potremmo percepire quel grande mistero che la Chiesa chiama "Comunione dei Santi".

Notizie tratte da:
Muzio Petroni, Vita del Beato Ventura eremita (Ristampa di Tolomeo Petrelli Lucarini), Foligno, 1694.
Tolomeo Petrelli Lucarini, Sincerissima relazione. . . del Beato Ventura Eremita, Foligno, 1694.
Durastante Natalucci, Historia . . . di Trevi, Todi, 1985.
Giuseppe Bragazzi, La rosa dell'Umbria, Foligno, 1864.
Salvatore Marino Mazara, La chiesa di S. Francesco a Trevi, Alba, 1924.
Aurelio Bonaca, Le memorie francescane di Trevi, Firenze, 1926.
Aurelio Bonaca, Religione e beneficenza in Trevi, Tevi, 1935
Alberto Pincherle, Anacoreti, in E. I. , s. v.
Pietro Pisani, Eremiti, idem.
Ansano Fabbi, Antichità umbre, Assisi, 1971.
Ansano Fabbi, Presenza cristiana a Spoleto e a Norcia, in Atti 1°Convegno di Studi Storici Ecclesiastici, Spoleto, 1977.
Silvestro Nessi, Trevi e dintorni, Spoleto, 1979.
Giovanni Bertassi, Trittico, Trevi, 1984.

Lo studio a tutt'oggi più completo, con la pubblicazione di documenti di archivio inediti, è stato condotto dal Nessi:
Silvestro Nessi, Il Beato Ventura da Trevi, in San Francesco Patrono d'Italia, n. 8, 1988, pag. 46 e segg.

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Aggiornamento: 04 aprile 2020.