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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime
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LA FESTA E LA FIERA "DELLE LAGRIME

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 - pagg. da 89a 96)

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Il comune, continuando nella sua iniziativa d'ingerirsi completamente di quanto riguardava il nuovo santuario, ebbe, fino dai primi tempi, da che la devozione alla Madonna delle Lagrime si era diffusa, la percezione che fosse necessario dedicare alla nuova Protettrice di Trevi uno speciale giorno festivo.

Perciò il consiglio generale nell'adunanza dell'11 Giugno 1486, cioè circa 10 mesi dopo il miracolo delle «Lagrime», deliberava all'unanimità con 77 voti, che per tutto il tempo avvenire il giorno 5 di Agosto, nel quale nel 1485 avevano incominciato a rifulgere i prodigi presso la sagra Imagine della Madonna delle Lagrime, fosse da tutti gli artigiani e lavoratori d'ambo i sessi celebrato e osservato, come il giorno di Pasqua. Pena 20 «bolognini» a chi contravverrà: dei quali la metà vada a chi applicherà la multa e l'altra metà alla chiesa.

E ogni anno tutti i preti e i frati del territorio debbano andare in processione a quella chiesa: e così debbano andarvi coi lumi tutte le arti e le confraternite con i loro priori; sotto la pena medesima, irremissibilmente applicata dall' ufficiale del cancelliere.

Il comune in quel giorno offrirà all'altare della Madonna quattro  «libbre» di cera, in onore di Dio e della Vergine. E per maggior decoro della chiesa, tutte le strade di Trevi che conducono alle «Lagrime» dovranno essere spazzate e tóltene via tutte le pietre vaganti ed ogni altro impedimento; sotto la pena suddetta, di cui tre parti vadano alla chiesa, una all'ufficiale esecutore.


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E nessuno getti immondizie, né faccia sconcezze in quelle strade sempre sotto la pena di 20 «bolognini». E se l'ufficiale del cancelliere non si curerà di applicarla, abbia esso la multa di 10 «libbre» di denaro.

In pari tempo si ordina a Nicolò Natalucci, che aveva bottega fuori la Porta del Cieco - che e verso le «Lagrime» - e ad un altro non nominato, che era proprietario di un molino da olio lì presso, che nel termine da stabilirsi dai priori, facciano una chiavica sotterranea che raccolga le acque sudice di quei due locali. E ciò per togliere il cattivo odore (odorem tetrum) e la bruttura delle acque, che prima scorrevano lungo la strada. In mancanza, si applichi la solita penalità.

* * *

Ora, che dire di questa deliberazione del comune?

A parer mio esse merita di essere messa in evidenza, poiché - se il caso non e nuovo e se altrettanto si fece da altri comuni in occasioni si utili, di dichiarare, cioè, festivi alcuni giorni dell'anno - ciò dimostra una volta di più la complessità delle funzioni che al comune autonomo medioevale facevano capo, o elio esso si credeva autorizzato ad assumere. In ogni caso, esso adempiva decorosamente e solennemente al suo mandato, dando ordini ai cittadini ed anche al clero, sotto pene pecuniarie. Ed il clero e i cittadini obbedivano, rispettosi sempre dell'autorità comunale, della quale essi erano, ad un tempo, devoti e fieri, come di cosa sacra.

Ma poiché al nuovo santuario i fedeli accorrevano pur di lontano, volle il comune anche agli occhi di essi mostrare la sua autorità. Così fu che il 25 Giugno 1486 il consiglio generale prese una importante deliberazione. Il verbale dice che fu solennemente e prudentemente discusso, decretato e deliberato, con efficacia di statuto perpetuo, all' unanimità dei 79 presenti, che per tutto il tempo avvenire, chiunque per sua devozione si recherà alla beata Imagine di S. Maria delle Lagrime e poi alla sua chiesa, quando sarà costruita, possa venire e tornare salvo e sicuro, in qualunque tempo dell'anno, purché venga e vada per la strada più corta. senza deviare verso altri luoghi; e purché non abbia commesso delitto da punirsi con la morte. E ciò si delibera non ostanti le disposizioni dello statuto o qualunque altra cosa in contrario.

Questa delibera, semplice in apparenza, e invece di grande importanza storica e giuridica. E' ovvio che il comune. così deliberando, non intendeva garantire a chi veniva alle «Lagrime» la sicurezza


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dai pericoli ai quali allora, come in altre epoche, i viandanti erano esposti, per aggressioni e simili. Ma la sicurezza
(securitas era il termine legale) che il Comune con la sua autorità voleva garantire ai fedeli era quella di non poter essere soggetti ai sommari procedimenti che allora vigevano in certi casi. Così si poteva essere arrestati per debiti, o potevano esservi contumaci gia condannati e poi sfuggiti alla giustizia del nostro o di altri comuni. Vigeva la strana e quasi selvaggia istituzione delle «rappresaglie» in forza delle quali se un cittadino era danneggiato o spogliato fuori del suo paese e non .aveva potuto aver giustizia nel luogo ove il delitto era stato commesso, poteva l'autorità, colpe la Camera Apostolica nello Stato Pontificio, concedergli di rivalersi, dovunque l'incontrasse, contro un altro cittadino qualsiasi del luogo dove avesse ricevuto danno. Era questo «istituto» un pessimo succedaneo della mancata amministrazione della giustizia: ma, purtroppo, di quei tempi ed anche dopo - cioè fino a tutto il 1600, almeno - vigevano tali metodi.

A tutti costoro il Comune, con la stia deliberazione sopra ricordata, garantiva di poter venire e tornare salvi e sicuri alle «Lagrime».

* * *

Però c'e nella deliberazione una riserva: tale garanzia non era concessa a chi fosse stato, per delitti commessi, condannato a morte. Molti erano allora i banditi, cioè coloro che per delitti o per ragioni politiche erano espulsi dal territorio di uno o più comuni o di tutto lo stato. Le norme vigenti negli statuti comunali, o nelle disposizioni emanate dalle autorità erano severissime, come gravissima era la pena del «bando». I banditi, talvolta, non avevano neanche il diritto della difesa, o potevano essere impunemente aggrediti, e finanche uccisi. Talora sii di essi gravava una forte taglia. In altri casi erano soltanto privati dei pubblici onori ed uffici; mentre altre volte si toglieva ad essi il diritto di contrattare.

Ma la giurisprudenza in materia era assai discorde; ed anche il celebre giureconsulto perugino, Bartolo, riteneva, per esempio, che i banditi non potessero godere della «sicurtà» data a coloro che si recavano a fiere o feste. E Nello da S. Geminiano, che sui banditi scrisse un raro ed interessante trattato, conferma la teoria che nella «sicurtà» non sono compresi i banditi : a meno che non sia espressamente dichiarato (1).

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(1) NELLI A SANCTO GEMINIANO, civis florentini, Tractatus insignis de Bannitis- Lione, Eredi di Giacomo Giunta, pag. 121 tergo e segg.

 
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Ora delle consuetudini in vigore e dei pareri espressi dai giuristi bisognava che i comuni tenessero grandissimo conto. E quando prendevano deliberazioni intorno a simili argomenti dovevano agire ed esprimersi con molta prudenza e molta chiarezza; poiché trattavasi di mettere al sicuro od a repentaglio la vita ed i beni di chi si recava alle fiere o alle feste.

Si discuteva - ad esempio - dai giuristi se la «securitas» si estendesse ai saraceni, agli eretici, ai nemici della città. Ed era opinione che per poter applicare ad essi la «securitas», dovessero essere espressamente nominati. E i dubbi giuridici su tale argomento arrivavano all'inverosimile. Basti dire che era oggetto di discussione il sapere se la «securitas» s'intendeva concessa per la sola andata od anche per il ritorno. Non solo: ma poiché la maggior parte della gente si recava alle fiere a cavallo, ci fu chi spinse la pedanteria fino al punto di discutere se la franchigia si estendesse, oltre che al cavaliere, anche alla bestia 1(1).

Ecco perché il nostro consiglio nella sua deliberazione vuole chiaramente esprimersi e precisare che la «securitas» per chi veniva alla fiera delle «Lagrime» dovesse intendersi estesa anche ai banditi; eccettuati coloro che fossero stati condannati a morte. Ed ecco perché, in tanta incertezza di giurisprudenza, il consiglio dichiarava che ognuno potevasi recare alle «Lagrime» salvo e sicuro, sia nell'andata, che nel ritorno, ma per la via più corta.

E poiché era anche questione tra i giuristi se la «securitas», una volta concessa, avesse valore per sempre, il consiglio nostro chiaramente diceva di averla voluta concedere «in ogni tempo dell'anno».

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Di tale argomento, in apparenza secondario, sarebbe bastato un fugace accenno, tanto per darne notizia e non di più. Ho voluto, invece, trattarne con qualche larghezza perché mi preme di mettere in evidenza, ogni volta che, l'occasione se ne presenti propizia, tutte le mirabili qualità dei reggitori del nostro comune nell'epoca di cui tratto. Come nella compilazione dei contratti, nei rapporti con gli appaltatori della chiesa, nell'ordinamento delle rendite della nuova istituzione sacra essi si sono addimostrati saggi e prudenti amministratori; così in questi provvedimenti d'indole straordinaria e che dovevano aver valore anche di fronte a cittadini di altri comuni, i

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(1) GREGORIUS MAGALOTTI, Securitatis ac salvi conductus tractatus, (Roma), 1537.

  


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consiglieri trevani davano prova di acuto senso giuridico e si affermavano ancora una volta - come lo erano stati nella compilazione degli «Statuti»- illuminati legislatori; poiché anche questo era tra i compiti e tra i requisiti di quelle invidiabili, ma non facilmente ora imitabili, istituzioni medioevali.

 

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Con devota e costante tradizione si e conservata nei secoli la celebrazione della festa della Madonna delle Lagrime. E' stato, pero, più di una volta variato il giorno dedicato alla solennità. Dapprima la festa cadeva il 5 d'Agosto, perché in quel giorno nel 1485 - come dissi - si diffuse la voce del miracolo delle «Lagrime». In seguito, cioè il 15 Marzo 1515, il consiglio, su proposta del dottore Lattanzio Pauloni, deliberava che il giorno di S. Maria, ossia il terzo giorno di Pasqua, tutto il popolo, con le Confraternite, andasse in processione alle «Lagrime», e il comune desse 5 «libbre» di cera per elemosina. Cosimo Valenti - altro consigliere - propone che le «libbre» siano 6. E il consiglio approva. Si noti che quell'ossia farebbe supporre che la festa delle «Lagrime» fosse stata trasportata già da prima, al Martedì di Pasqua. Però in alcune deliberazioni posteriori si fa ancora accenno alla festa delle «Lagrime» al 5 d'Agosto, come ora dirò.

Mentre alcuni anni avanti, e precisamente nel 1497 e 98 il comune deplorava l'affievolita devozione del popolo verso la Madonna, piu tardi, invece, era il comune stesso che rinnovava frequenti esempi di religiosa venerazione. Si ravvisa in cio certamente 1' influenza dell'opera di propaganda svolta dai religiosi, che avevano in custodia la chiesa. Ed ecco, infatti, che l'11 Marzo 1517 il consiglio - su proposta di Giovanni di Carlo - delibera che la Madonna delle «Lagrime»sia e si chiami «Protettrice del comune e sua Avvocata ». E tre volte l'anno si vada in processione alle «Lagrime »; cioè: il 24 Marzo, festa dell'Annunziata, il 15 Agosto, festa dell'Assunta e 1'8 Settembre, festa della Natività della Vergine. I priori del comune portino alla chiesa un «doppiero» di 7 «libbre».

Pochi giorni appresso - il 30 Marzo - Bernardino Valenti propone ed il consiglio approva, che si offra alla chiesa un «castello» d'argento ; che era una lastra a sbalzo, raffigurante il «castello» di Trovi, cioè l'insieme della città, presso a poco come ora la vediamo; poiché, di quell'epoca, non esisteva più a Trevi il vero e proprio castello, cioè la fortezza, che fa demolita dai Trevani stessi nel 1420, con la postuma approvazione di Martino V.


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Per la spesa di quella offerta, si doveva provvedere col contributo di un «bolognino» per «foco», ossia per famiglia. Intanto - ed ecco balzar fuori il senso pratico di quei tempi ! - incomincino a versare il loro contributo tutti i consiglieri presenti! Se vi sarà un avanzo, si spenda per la croce di S. Emiliano.

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L' intervento dei rappresentanti del comune alle solennità religiose era obbligatorio, come lo fu tino a non molti anni or sono. Erano accompagnati da alcuni dipendenti e funzionarii, ai quali il consiglio - perché negligenti - impose il 16 Gennaio 1546 l'obbligo di trovarsi nel palazzo dei Priori in tempo utile, per poterli accompagnare alla messa in certe solennità, tra le quali quella delle «Lagrime» ai 5 di Agosto, pena un «carlino». In quel giorno anche il giudice faceva, vacanza, ma solo per le cause civili(1).

  La festa fu successivamente celebrata il 25 Marzo per consuetudine introdotta dai Lateranensi. Ai giorni nostri - né mi è riuscito sapere da quanto tempo - la festa delle «Lagrime» cade la Domenica «in albis», che e la prima dopo la Pasqua.

  Per quanto la chiesa non abbia più ora chi permanentemente risieda presso di essa e sia, percio, assai deficiente la celebrazione delle sacre cerimonie, tuttavia e interessante constatare come viva si mantenga nel popolo nostro questa tradizionale e festosa devozione. Sempre in gran numero accorrono i devoti ed i curiosi attorno alla chiesa in quel giorno. Dalle diverse ville del territorio del comune affluiscono, lietamente cantando, le molte confraternite, con un lungo seguito di donne e fanciulle, che, con femminile abilita, sanno accoppiare la dimostrazione della loro fede, allo sfoggio delle loro ingenue eleganze.

  E7 tutto il giorno il piazzale della chiesa e gremito di popolo; il tempio rigurgita di devoti, mentre di fuori - come in antico - si vendono cibi e bevande e oggetti di devozione.

 Sicché quel giorno e, anche oggi, per i trevani giorno di grande solennità, come la Pasqua ; così come vollero i loro antenati cinque secoli fa!

 Un risveglio assai vivo nel culto di questa Madonna si ebbe nel 1886, quando - con un anno di ritardo - fu celebrato il quarto centenario della miracolosa imagine. Siamo molti a rammentare il

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(1) Cfr. Calendario approvato dal vescovo di Spoleto Lorenzo Castrucci per il 1619

(Archivio delle 3 chiavi. Busta 3, 1600-1700 N. 272).


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 grande accorrere di popolo, e la solennità delle sacre funzioni che allietarono quelle feste, che durarono otto giorni e che - come vedremo - un'iscrizione marmorea ricorda nella chiesa.

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Rimonta ad epoche non precisate l'abitudine in tutta Italia di utilizzare le solennità religiose per ravvivare il movimento commerciale delle singole località, con l' istituzione di fiere e di mercati o negli stessi giorni delle festività o nel giorno seguente. Ma, per quanto si riferisce a Trevi, posso affermare che di una fiera propriamente detta «delle Lagrime» non si parlo subito. Pero l'affluenza dei venditori di merci fu spontaneamente contemporanea al primo accorrere dei fedeli.

La cosa dovette assumere proporzioni notevoli, perché il consiglio generale del comune credé necessario regolare anche questa nuova manifestazione delle iniziative individuali dei commercianti di Trevi e di fuori; ma con 1' intento d'incoraggiarla.

Disposizioni statutarie vietavano tale forma di commercio nei giorni festivi. Invece avveniva che a S. Maria di Pietra rossa, del piano di Trevi, e presso la cappella della Madonna delle Lacrime c'era chi vendeva stoviglie ed altre mercanzie. La curia del podestà procedeva contro costoro ed applicava penalità, per le quali i rivenditori reclamarono al comune.

Questo nell'adunanza del consiglio generale del 4 Febbraio 1487 con 65 moti favorevoli, non ostanti 14 contrari, deliberava. che chi veniva a vendere a S. Maria di Pietra rossa ed alle «Lacrime» nei giorni festivi, non poteva essere soggetto ad alcuna penalità, purché esercitasse il suo commercio nei limiti di spazio fissati per la chiesa di Pietra rossa, od in quelli ancora da stabilirsi per le «Lacrime».

Vicino alle chiese potevano vendersi candele e torcie, «voti» di cera e di piombo e simili, purché in luoghi convenienti e decorosi, come gia si usava: od in altri migliori e più adatti, che sarebbero stati indicati, anche per i comestibili. I «voti» di cera o di piombo rappresentavano teste, braccia, gambe od altre membra che i devoti credevano miracolosamente guarite da qualche infermità; usanza antichissima, che risale ai tempi biblici e tuttora vive nel mezzogiorno d'Italia ed altrove.

 

Fino all'anno dopo ancora non era stato stabilito entro quali limiti si poteva vendere o comprare nei giorni di festa presso le «Lagrime». Fu soltanto il 24 Febbraio 1488 che il consiglio generale


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stabilì solennemente, con 83  voti favorevoli, contro 7, che mai si potesse nei giorni di Domenica ed altri festivi vendere presso la Madonna delle Lagrime merci di nessun genere, né da trevani, né da forastieri se non a distanza di almeno 15 «pertiche di S. Emiliano». Ma non tutte le merci potevano entro quei limiti essere vendute. Il verbale consiliare esclude espressamente le droghe (aromatica), gli animali ed ogni altra cosa venale eccettuati i comestibili e le bevande; oltre alle candele, le imagini da offrirsi per voto, i «paternostri» (1) ed altri simili oggetti di devozione.

Tutto ciò potevasi vendere sul campo di S. Maria e lungo i margini della strada. Negli altri giorni non festivi potevasi vendere - sempre a quella distanza - ogni sorta di merce. A chi contravveniva si applicava la pena di un «fiorino» per ogni volta, da pagarsi lì per lì. Tre parti delle multe andavano a beneficio della fabbrica delle «Lagrime» ; il resto a chi faceva la contravenzione.

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Unica eccezione a tutto ciò: gli ebrei, abitanti o no in Trevi. Ad essi il consiglio proibiva in modo assoluto, non solo, di vendere ma anche di comprare nei pressi delle «Lagrime», sia dentro che fuori dei limiti fissati, sotto pena di un «fiorino»per ogni volta (2).

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(1) Quasi certamente questi «paternostri» erano rosarii. Ma occorre tener presente che con lo stesso nome si chiamavano certi gioielli. Trovo inventariata «Una fila di paternostri» con la croce d'argento e con ambre a cristalli e due coralli: 19 pezzi in tutti, in un atto del 24 Aprile 1462. (A r c h i v i o   n o t a r i 1 e - Trevi To: 94 - Rogiti di Nicolò Veri - f: 10). Nel 1531 Clemente VII mandò a Ludovico Tornabuoni, nelle Fiandre, un plico contenente lettere ed altro. «Credo vi fosse gioie e «paternostri» per donar alla donna del duca Alessandro de' Medici» (Margherita d'Austria); così annota nei suoi conti, sotto la data 15 Aprile 1531, il tesoriere generale Francesco del Nero. (Archivio segreto pontificio - Armadio XXIX - To: 89 f: 157). Metto qui queste piccole notizie perché ho inutilmente cercato in più dizionari questo vocabolo in tale senso.

(2) Pure senza uscire dall'argomento principale di questo mio scritto, mi pare utile dare qua qualche notizia sulla presenza degli ebrei a Trevi.

Dirò in poche parole che le prime memorie su di essi risalgono al 15 Giugno 1338 (a) nel qual giorno il consiglio del comune deliberava di prendere in prestito da «Emanuele Judeo» i denari occorrenti per mandare soldati (sergentes) a Pietro di Castagneto, rettore del ducato di Spoleto (b). Di quei tempi, e più nei secoli successivi, non c'era, si può dire comune anche piccolo, che non chiamasse a sé qualche ebreo, perché esercitasse quella che chiamavano pomposamente «l'arte di prestar denari» (ars foeneratoria); più semplicemente: 1' usura.

Ciò si spiega col fatto che ai cristiani era - per legge canonica - vietato di prestare denaro ad interesse (e). E si capisce che - per questa severa prescrizione e per la scarsezza generale della moneta - pochi fossero i cristiani disposti a prestare denaro al prossimo loro. Donde la necessita di avere banchieri ebrei, ai quali «l' usura» non era vietata.

Le condizioni alle quali gli ebrei furono ospitati in Trevi furono, con qualche variante, quelle stesse che erano in uso altrove. Tra queste era compreso l'obbligo del distintivo speciale, che era un anello di stoffa gialla, della grandezza di un arancio, portato sul petto in modo sempre visibile.

Notevolissimo il fatto che gli ebrei che transitavano per il territorio del comune, dovevano pagare il «pedaggio». Così e scritto nella relativa tariffa, inserita nello Statuto più antico del nostro comune, nella quale gli ebrei e le meretrici sono equiparati alle bestie o ad una merce qualsiasi:

JUDEO .. . . uno. . . . Soldi V. (d)

In corrispettivo dei loro servigi, fu concesso agli ebrei qualche privilegio, come nel 1460 quello di non pagare la gabella personale o testatico. Poco tempo dopo, pero, cioè nel 1469, le predicazioni di frate Agostino da Perugia, francescano, obbligarono il comune a misure restrittive contro di essi.

Il cardinale Giuliano Della Rovere - poi Giulio II - quando era legato apostolico a Spoleto, autorizzo il comune a condurre a Trevi altri due o più ebrei, perché prestassero denaro su pegno. Ciò fu il 6 Settembre 1474 ; e il 18 dello stesso mese il consiglio deliberava d'incaricare i priori, coli quattro uomini per «terziero» affinché cercassero di questi ebrei, che volessero venire a Trevi, coi soliti patti e per la durata di 20 anni.

Ma la cosa non andò a lungo. E nel 1476 le convenzioni con gli ebrei furono abrogate. Pero essi rimasero ugualmente a Trevi. E gli antichi «capitoli» tornarono poi nuovamente in vigore: finché nel 1510 dovettero essere ancora una volta revocati, pena la scomunica.

Troviamo nei documenti del nostro Archivio comunale - specialmente nelle «Riformanze» - nonché nell'Archivio notarile di Trevi molto memorie relative agli ebrei, i quali furono definitivamente espulsi dallo stato pontificio nel 1566, ai tempi di S. Pio V. ad eccezione di Roma ed Ancona.

Le loro case in Trevi che erano presso la «Porta del Cieco» furono confiscate e vendute all'asta per 700 «fiorini»ad un tal Capitano Valentino Salvatori di S. Lorenzo di Trevi, e la somma fu destinata all' istituto dei catecumeni in Roma, con atto del 30 Dicembre 1567 ed altri successivi (e).

D'allora in poi gli ebrei non misero più piede a Trevi. Soltanto nel 1730 fu data loro facoltà di recarvisi in occasione di fiere.

(a) Devesi in questo senso rettificare la data 1457, da me altra volta indicata, a proposito della più antica memoria di ebrei a Trevi. (T. V, Curiosità, cit.: pag: 89).

(b) Archivio delle 3 chiavi, Riformanze d. a.  f: 3).

(c) I prestiti così fatti si chiamavano «depositi»; e nei relativi istrumenti non si parla mai d'interessi.

(d) Statuta vetustiora del comune di Trevi, Archivio delle 3 chiavi N. 70 Libro I Rubrica 99).

(e) Archivio delle 3 chiavi - N. 186 - Instrumenta f: 71, 77. 78. 81, 82, 83.

 
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 In epoca più inoltrata l'attività commerciale presso le «Lagrime», insieme alla frequenza del popolo, aveva assunta una certa regolarità,


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tantoché ogni Domenica vi era fiera, che il l° Marzo 1535 fu dichiarata libera di dazio. E grande doveva essere la folla dei presenti, se di questa riunione di gente il comune profittava anche per bandire i suoi ordini. Così - per esempio - il 4 Agosto 1538 i priori ordinavano ai trombetti del comune di bandire il giorno seguente, sulla piazza delle «Lagrime» dove era mercato, che tutti coloro che avevano terreni nell'ambito del comune, pagassero entro tre giorni tutti i dazi imposti da questo.

Il zelantissimo e rigoroso Papa Pio V proibì, per rispetto della solennità della Domenica, questi convegni d'affari, e la fiera fu rimandata al Lunedì, come si costumava presso altre due chiese dedicate alla Vergine, in località vicine a Trevi ; cioè: a «La Bianca» in territorio di Campello e a «La Bruna» in quello di Castel Ritaldi: denominazioni che ancora restano a quelle due chiese.

Ma il pubblico non così facilmente cambia le sue abitudini. Onde le fiere del Lunedì, fino al 1583, non si effettuavano ancora. E Pio V era morto fino dal 1572.

Di ciò si lamentano i religiosi che erano alle «Lagrime» in una lettera al podesta, ai priori, ai consiglieri di Trevi perché la mancanza della fiera era di danno al comune ed alla chiesa, in quanto che a questa venivano a mancare le elemosine, al comune gl'incassi delle gabelle. Perciò quei religiosi domandavano che la fiera avesse luogo il primo Lunedì di ogni mese (1).

In un'altra supplica al papa essi esponevano che «essendo stata concessa la indulgenza in la dicta chiesa da dodeci R.mi Cardinali al tempo della felice memoria di Paulo secondo (doveva dire: terzo!)  «ogni prima Domenica del mese» per ordine del consiglio generale del comune, confermato da un decreto del vicelegato di Perugia del 1550, si poteva in quel giorno far mercato, che fruttava molte elemosine, delle quali i religiosi «lautamente vivevano». Pero, soppresso il mercato, la gente non affluisce più così numerosa, le elemosine mancano, i poveri Canonici Lateranensi non possono più vivere. Chiedono, perciò, al papa la conferma dell'indulgenza e che sulla piazza della chiesa si possano vendere «cose pertinenti al vitto umano» (2). Il consiglio comunale aderì alla richiesta e nell'adunanza  dell'11 Febbraio 1583 nominava una commissione perché redigesse il regolamento per il mercato o la fiera desiderati.

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 (1) Archivio delle 3 chiavi N. 246.

 (2) Ivi, N. 246.

 


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Quale fosse la definitiva soluzione della vertenza non mi è stato possibile rintracciare. Sta in fatto che attualmente «la fiera delle Lagrime» ha luogo il 5 d'Agosto; non più però presso la chiesa, ma su quella che si chiamo la piazza «del lago» del quale aveva preso il posto, al di fuori delle antiche mura di Trevi verso Levante. E questo fu stabilito con deliberazione del consiglio in data 7 Settembre 1597. Da notare in questa deliberazione una notizia che riguarda l'origine della fiera, che nel verbale e detta «della Madonna de Pietra roscia »; altra antichissima chiesa, che più volte qui ho nominato, e che sorge nel piano di Trevi, verso Nord-Ovest non lontano dal fiume Clitunno. Presso quella chiesa aveva luogo una fiera il 5 d'Agosto di ogni anno. Siccome pero la località era troppo vicina al confine tra il comune di Trevi e quello di Foligno, si rendeva assai facile il contrabbando delle merci soggette a tassa di «pedaggio» ed altro. Fu allora e per questa ragione che con un rescritto del cardinale Enrico Caetani del 18 Novembre 1597 (1) questa fiera fu trasportata alle «Lacrime»; onde in avvertire le due fiere vennero a confondersi in una sola, come ora si pratica.

Per l'applicazione di tutte le disposizioni relative alle fiere e per impedire disordini che durante esse potessero sorgere, il comune, nominava il «capitano della fiera»; e più tardi anche un arbitro, (probus  vir) che decideva sul momento le vertenze tra compratori e venditori.

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(1) Archivio delle 3 chiavi, N. 551.

 

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928- pagg. da 111 a 121)

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