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Le memorie francescane di Trevi

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(D. Aurelio Bonaca, Le memorie francescane di Trevi, Estratto da Studi Francescani, Anno XIII, n° 1, Firenze, 1927- pagg. 61)

 

II parte: I CONVENTI FRANCESCANI A TREVI

§ 3. – Monastero di S. Bartolomeo.

 

 

Fu un altro Monastero di Monache Clarisse; è addirittura impossibile precisare la date della sua fondazione.

La prima menzione di un Monastero sotto il titolo di S. Bartolomeo o dei sacchi, come fu anche chiamato, si trova in un documento del 2 ottobre 13851. Si tratta di un atto di donazione che Benedetta di Jacobuccio Nardeschi fece all’ospedale dei lebbrosi dei SS. Tommaso e Lazzaro. L’atto fu rogato da Giovanni di Pace da Foligno "in oratorio ecclesiae sancti Bartholomaei de Villa Lapidiae loci pauperum domnarum de sacchis"2. Esisteva adunque in Pigge un Monastero di Monache avente la stessa denominazione di quello che poi troviamo in Trevi; evidentemente si tratta dello stesso Istituto che dalla frazione di Pigge viene trasferito al Capoluogo. Che si tratti di Monache francescane non c’è dubbio; la parola locus, adoperata anche da S. Francesco invece di Convento o Monastero, la denominazione de sacchis (delle sacca, come troviamo più tardi), che indica delle povere donne vestite di rozzo e ruvido sacco, stanno ad indicare con precisione un’istituzione francescana.

Non è possibile stabilire in qual tempo il Monastero di S. Bartolomeo de sacchis dalla [dalle, nel testo] Pigge fu trasportato a Trevi; manca ogni documento in proposito. Sappiamo solo che in Trevi il Monastero di S. Bartolomeo fu sempre dove oggi è l’Asilo Infantile, poco lungi dall’arco del Mustaccio.

Nella seconda metà del sec. XV le Monache non c’eran più ed il locale era di proprietà di Ser Giacomo Paoloni3. Nel 1495 alcune giovanette trevane, desiderose di vivere religiosamente, comprarono il Monastero e vi iniziarono una nuova Comunità, ed il Comune, accogliendo una loro istanza, diede a tal fine un sussidio di cinquanta Fiorini4.

Anche la storia di questo Monastero nota ben presto difficoltà d’ordine morale. Né ciò deve far meraviglia, poiché eran tempi di grande rilassatezza e di corruzione comune e con troppa frequenza si ripetevano i casi della Monaca di Monza.

Il 23 luglio 1554 [nel testo: 1334] il Consiglio Generale di Trevi si occupò di questa Comunità.. Il nobil uomo Anton Francesco Lambardi propose si mandasse Vero de Veris quale oratore al Padre Generale dell’Osservanza di S. Francesco affinché si degnasse ordinare al Provinciale "accipere curam dictarum Monalium"5.

Quattro anni dopo, cioè il 2 giugno 1558, il Consiglio, perché fallite le prime pratiche, risolvé di far pervenire al Card. De Carpio, per mezzo di Mons. Romolo Valenti, una letttera pregandolo di ottenere dal Generale dell’Osservanza per il Monastero di S. Bartolomeo due Monache del Monastero di S. Margherita di Foligno "ad reformandum dictum nostrum monasterium et ad catholicam vitam redigendum"6.

Contemporaneamente a questo, avveniva un fatto di grande importanza, che ci rivela quale era in quei tempi lo stato delle Comunità Religiose lasciate in balia di sé stesse; il Concilio di Trento che doveva porre riparo a tanti mali, non aveva ancora terminato i suoi lavori, né d’altra parte certe salutari riforme, dopo un lungo periodo di rilassatezza, possono ottenere improvvisamente il loro effetto.

Le Monache di S. Bartolomeo avevano scritto nel 1559 al Consiglio Generale e ai Signori del Comune una lettera, che merita di essere esaminata.

Le Monache cominciano col confessare che "nel loro Monastero non si vive con quella debita religione che si conviene, né si osservano regole, né costituzioni convenienti". Il lettore immagini quali altri disordini maggiori portasse con sé questo stato di cose.

Le Religiose "desiderando de lassar qualche cattivo ordine che vi fosse" implorano dal Consiglio di "provvedere in quel miglior modo che aloro paja opportuno", protestando "di sottomettersi a tutte le riforme, costitutioni ett ordini che da SS. V.V. o da altri, a chi saranno date in cura, li saranno costituite et ordinate et di vivere honestamente".

Il Consiglio, forse per esperienza del passato, non si fidò dello scritto e volle anche accertarsi che le Monache fossero unanimi nei sentimenti esposti nella lettera. Una commissione composta da tre nobili cittadini, e cioè Alberto Origo, Teodoro Citeroni e Marcello Poli, assistita da Filippo Vitale, notaio pubblico e cancelliere del Comune, fu mandata al Monastero di S. Bartolomeo. Eran presenti anche il Sindaco del Comune, Andreangelo Mari, il procuratore del Monastero Angelo Mugnoni e i testimoni Guido Silvestri e Gregorio Spaziani.

Le Monache che, eran dieci, furono radunate "in sala magna ipsarum Monasterii" e fu loro domandato se la supplica era stata scritta "ex animo et voluntate et si intendatur eam emologare et approbare et facere prout in ea". Le Monache "Iunanimiter et concorditer et unaqueque divisim" risposero che la loro volontà era quella espressa nella lettera, che confermavano e approvavano.

Di tutto fu redatto regolare verbale7.

Questo avveniva il 12 agosto; il giorno seguente ilConsiglio stabiliva di scrivwere al Provinciale dell’Osservanza di S. Francesco " ut dignetur monasterium in custodiam et sub tutela recipere et dictas moniales in via Christiana instruere "8.

Furon subito iniziate le pratiche, che questa volta cdondussero a buon porto, tanto che il 17 agosto 1561 il Consiglio Generale "curam acceptam per zoccolantes confirmat"9. In quell’occasione ebbe luogo una lunga discussione ed apparve con chiarezza che il Consiglio voleva che il Monastero fosse riformato sul serio e le monache cominciassero a tenere quella condotta che si conviene a Religiose

Il 13 agosto Emiliano Contuzi, uno dei Consiglieri propose la nomina di tre uomini "ad providendum quantum oportet et opportunum sit pro dicto Monasterio et ad gastigandum moniales, si opus erit, et cum literisR.mi D.ni Vicelegati, quae confirment electionem dictorum hominum et eorum auctoritatem pro utili et beneficio dicti monasterii"10. Il Consiglio approvò ed il Monastero ebbe finalmente un indirizzo sicuro ed iniziò una vita di regolare osservanza.

Il Consiglio si occupò ancora di questa Comunità il 2 giugno 1602 11 nell’occasione in cui tutti i Monasteri di Trevi avevano chiesto la concessione dell’acqua potabile; ma questa volta l’interessamento del Comune non fu per l’andamento morale, ma per quello temporale. L’acqua fu concessa a tutte le Comunità e per quella di S.Bartolomeo, con particolare benevolenza, si nominò una commissione affinché le Monache non mancassero mai di nulla e "possano haver chi veda et dica et provveda ai fatti loro", ma si aggiunge anche che il Sig. Tullio Petroni "specialmente habbi l’occhio all’osservanza della religione delle sacca et le rimetta negli ordini loro soliti".

Forse non tutti gli inconvenienti eran finiti a giudicare dall’incarico dato al Petroni.

Nel 1615 troviamo il Monastero passato sotto la giurisdizione del Vescovo di Spoleto. Ogni disordine allora cessò definitivamente ed il Consiglio si occupò in seguito del Monastero di s. Bartolomeo per farvi dei lavori12 o per concedere elemosine e sussidi13.

Di aiuti il Comune non era stato mai avaro con quelle Monache. Nel 1354 il Consiglio stabilì di dar loro ogni bimestre una coppa di grano14, che poi aumentò fino a due rubbia e mezzo15, da servire però per il mantenimento del Cappellano.

Il Cappellano era nominato dalle Monache, ma la nomina doveva ricevere l’approvazione del Comune16.

Questi aiuti per il mantenimento del Cappellano, come pure altri sussidi, variarono con l’andar del tempo17, finché furono tolti del tutto.

Le Monache rimasero in S. Bartolomeo fino alla soppressione napoleonica, menando una vita esemplarissima. Dopo la soppressione più non tornarono nel loro Monastero, in cui invece fu eretto un Istituto per le orfanelle, che si chiamò Conservatorio di S. Bartolomeo.

Ma anche l’Orfanotrofio non vi rimase lungo tempo. Il 15 gennaio 1816 la Congregazione della Riforma dichiarò soppresso anche l’altro Monastero di S. Croce, in cui stavano le Benedettine, ed ordinò che in parte del locale fosse trasportata la residenza del Parroco e nella chiesa Chiesa di S. Croce la parrocchiale di S. Maria in Sion; nel resto del locale prendesse residenza l’Orfanotrofio Femminile di Trevi al quale dovevano essere devoluti anche i beni non venduti del Monastero; L’esecuzione fu affidata al Card. Canali, Vescovo di Spoleto, il quale con suo decreto del 20 marzo 1817 ed altro in atto di Sacra Visita del 20 maggio 1821 rese esecutivo il citato Decreto della Congregazione della Riforma; fu steso anche un atto notarile per le mani del notaio Girolamo Mosconi in data 31 luglio 181618 con cui, tra l’altro, si riconosceva una pensione di 5 scudi al mese ad ognuna delle Monache ancora viventi.

Con Regio Decreto del 21 dicembre 1864 l’Orfanotrofio passò alla Congregazione di Carità; quando con altro Regio Decreto del 5 gennaio 1868 anche il Collegio Lucarini passò alla Congregazione di Carità, questa pensò a trasferire l’Orfanotrofio nella casa di Virgilio Lucarini, posta proprio innanzi alla Chiesa di S. Emiliano, e per il Collegio adibì i locali dell’ex Convento di S. Francesco.

Nei locali dell’ex Monastero di S. Bartolomeo, nell’anno 1873, fu aperto l’Asilo Infantile, che ebbe la denominazione "Asilo Infantile Boncompagni". Vale la pena di rilevare che il nome Boncompagni non si riferisce in questo caso alla famiglia principesca di Roma, ma ad un impiegato che il Ministero mandò a Trevi in Missione quando si trattò di aprire il nuovo Istituto; nella speranza che quell’impiegato non avanzasse delle difficoltà, gli ammministratori di allora fecero trovare sulla porta del locale una tabella con la scritta: "Asilo Infantile Boncompagni". Passati ormai molti anni, nessuno più ricorda il modesto funzionario, che del resto non ebbe altri meriti verso il nostro Asilo che quello di aver redatto una relazione favorevole all’apertura; meglio quindi sarebbe cambiare denominazione e chiamare l’Asilo col nome di qualche nostro illustre concittadini o di qualche dama che sia stata particolarmente benefica verso l’Istituzione che è veramente provvidenziale per i figli del popolo.

 

 

Z99

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Aggiornamento: 27 aprile 2017.
Note
1) Archivio delle Tre  Chiavi, Pergamena n. 37.
2) Quest'atto è interessante anche per le altre notizie.  Alla stipulazione era presente fra Girolamo di Pietro, da Orvieto, eremita dimorante «in loco S. Anthoni de Colvaglioso supra Piscignanum». La donazione è fatta all'ospedale nella persona di Giovanni di Paolo da Trevi, oblato, capo e governatore «hospitalis leprosorum sci Thomae de Pede Trevii».
3)
D. Natalucci, Historia, ecc., pag. 268.
4) Archivio delle Tre  Chiavi, Rif., 1495, f.92.
5) Id., Rif., 1554, f.181.
6) Id., Rif., 1558, f.40.
7) La supplica e il verbale si trovano nel libro delle Riformanze del 1559 a pag. 170. Archivio delle Tre  Chiavi.
8)
Archivio delle Tre  Chiavi, Rif., 1559, f. 167.
9) 
Id., Rif., 1561, f.337. 
10)
Id., Rif., 1562, f.418. 
11)
Id., Rif., 1602, f.204. 
12)
Id., Rif., 1611, f. 112 e Rif.  1615, f. 115.
13) Id., Rif., 1560, f. 171; 1581, f. 250; 1590, f. 117; 1600, f. 114; 1611, f. 124, ecc.. 
14) Id., Rif., 1534, f. 179. La coppa  è una misura che corrisponde oggi a 80 chili circa; il rubbio equivale a quattro coppe. Altre misure  trevane erano: la nappa uguale a cinque litri, il mezzo quarto  uguale a un decalitro, il quarto al doppio decalitro, la mezzenga  a due quarti, il sacco a due coppe.
15)
Id., Rif., 1634, f. 157
16)
Id., Rif., 1565, f. 7
17)
Id., Rif., 1634, f. 157 ecc. ecc.
18) Archivio Notarile di Trevi, Atti del notaio G. Mosconi, 11 luglio 1816.