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Casa Salvi
(ora casa parrocchiale)

  

L’edificio si sviluppa su quattro piani: un interrato, rispetto via Ombrosa ma con pavimento al livello del suolo dalla parte opposta verso valle, adibito a fondi e magazzini, il piano terra - sempre rispetto a via Ombrosa - il primo piano o piano nobile e soffitta praticabile.

Nella costruzione sono chiaramente individuabili due stili architettonici riconducibili al 16° e al 18° secolo.

Il primitivo edificio è stato successivamente ampliato verso monte, con un avancorpo di circa tre metri, in cui sono stati ricavati l’ingresso, le scale e alcune stanze. Dalla parte opposta, a valle, su via dei Setaioli, si nota una espansione verso sud che, scavalcando l’antico arco su via della Rocca, si protende sopra un possente edificio duecentesco. Per salvaguardare la stabilità dell’elevazione, all’antica cortina fu addossato uno sperone sul quale, in un mattone, è incisa la data 1756.

Per l’ampliamento a monte la facciata originale al piano terra è rimasta una parete interna dell’ingresso e conserva ancora una bella finestra con mostre in pietra e l’elegante portale, pure in pietra. Sono due elementi palesemente classici nelle forme e nelle dimensioni.

Il portale, alto il doppio della larghezza, termina con un bell'architrave che reca un’iscrizione non perfettamente chiarita,

A . DNO . FACTV~~ . EST . ISTVDT

Un piccolo corridoio, su cui si aprono due porte laterali, immette nel salone, altro elemento con le caratteristiche della primitiva costruzione. Qui un altro bel portale in pietra, al centro della parete maggiore, mostra nell’architrave il motto augurale

D . CVSTODIAT . INTROVM . ET . EXITV . TVVM

La copertura del salone è a volta a vela, raccordata alle pareti con volticine a quarto di crociera poggianti su peducci in pietra. Potrebbe appartenere alla primitiva costruzione anche il camino, semplicissimo, al centro della parete nord, ma numerose riverniciature a olio ne nascondono l’aspetto originale.

Nella parete a valle rimane ancora una finestra originale con belle mostre in pietra.

Tutto il resto dell’edificio mostra i caratteri dell’intervento successivo.

Il portale e le mostre delle finestre sono in cotto, aggettanti, come pure i due fascioni che corrono per tutta la lunghezza delle facciate unendo i davanzali delle finestre del piano nobile.

Nella facciata a monte sono da notare due iscrizioni su architravi in pietra delle primitive finestre, riutilizzati uno come architrave di una finestra in cotto e l’altro nella cortina muraria. Recitano il primo versetto del salmo 127:

IN . VANV . LABOR VNT . Q . EDI . EAM

DOMVM . NISI . D . EDIFI RIT

Il portale, arcuato a tutto sesto, ha i peducci dell’arco evidenziati con modanature e la chiave, sempre in cotto, lavorata a conchiglia di violino. La scala, a due rampe, è un po’ sacrificata perché ha il primo gradino a filo della spalla del portale ed è abbastanza ripida.

L’imponente salone al primo piano, con ingresso sul pianerottolo, comunica con le stanze contigue con quattro porte, alle quali corrispondono in alto quattro finestrelle quadrate sopra il piano della soffitta. La copertura è con travi e correnti in legno. Il centro della parete nord è occupato da un bel camino in pietra.

Sulla parete verso valle si aprono tre finestre il cui architrave in cemento rivela un intervento degli anni Trenta.

Sotto le gronde si possono leggere le date del rifacimento del tetto su due pianelle e precisamente 1638 a valle e 1766 a monte, ma non coincidono con gli anni degli interventi più evidenti e pertanto potrebbero indicare gli anni in cui fu necessario ripristinare soltanto la copertura.

* * *

Dalle memorie edite si possono attingere notizie sulla data della costruzione e sugli antichi proprietari.

Si ha notizia dal Natalucci che la casa fu costruita da Giovanni Salvi, ma siccome nel testo sono citati vari Giovanni della stessa casata sembra verosimile, dall’esame degli elementi architettonici, che possa trattarsi di quel Giovanni che lo stesso autore riporta citato nel Catasto vecchio del 1575.

La casa in questione passò dalla famiglia Salvi a Carlo Antonio Bovarini nel 1719, con atto del notaio trevano Carlo Antonio Cecchini.

La famiglia Bovarini era originaria della balìa di Bovara. Nel 1726 risultava iscritta tra le famiglie nobili e il suo stemma compare nel codice degli stemmi del Comune del 1787.

Agli inizi del 18° secolo aveva raggiunto notevole agiatezza poiché poco dopo l’acquisto della casa Salvi da parte di Carlo Antonio, l’arcidiacono Giovanni, suo fratello, acquistò dai Poli nel 1736 la bella villa con annessi, poco sotto S. Martino, che nella prima metà del Novecento fu dei Plini.

Nel 1756 Carlo Antonio ingrandisce la sua casa con la fabbrica di altre stanze contigue alla sagrestia di S. Emiliano, come si evince anche dalla data sullo sperone sopra detto.

Nella seconda metà del 19° secolo, l’ultima erede della famiglia Bovarini sposa Luigi Rosati di Montefalco che si trasferisce a Trevi.

L’antica casa Bovarini, già Salvi, divenne successivamente di proprietà Meloni e poi delle Maestre Pie Filippini. Negli anni Trenta fu permutata dal priore D. Francesco Peticchi con la villetta a metà della passeggiata di S. Martino, per essere adibita a casa parrocchiale. In seguito a ciò furono eseguiti lavori di adattamento che comunque non modificarono sostanzialmente le strutture. Alla fine degli anni Cinquanta fu costruito il corridoio che collega il pianerottolo del piano nobile con la sagrestia di S. Emiliano. Consolidata in più tempi nei primi anni 2000, a seguito del terremoto del 1997

 

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