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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

XVIII     I MONUMENTI SEPOLCRALI

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 - pagg. da 242 a 245)

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Quasi tutti gli spazi disponibili nella nostra chiesa all'infuori delle cappelle furono opportunamente utilizzati per collocare in essi alcuni monumenti sepolcrali, che rendono più solenne e maestoso questo tempio, già così ricco di opere d'arte. Credo perciònecessario trattare di questi depositi con qualche larghezza. Ma dico fino da ora che, per quanto riguarda la documentazione circa gli autori di queste opere di scultura, non mi è stato possibile trovare il minimo cenno per alcuno di essi. Mentre per tutte le altre opere d'arte qui racchiuse, ho potuto — sia pure dopo lunghe e pazienti ricerche — trovare qualche documento fin qui sconosciuto: nulla ho potuto scoprire che valesse a dare un qualche lume sugli autori di questi monumenti, di cui alcuni veramente pregevoli.

Potrà sembrare strana al lettore questa lacuna, specialmente per il fatto che i monumenti appartengono tutti a personaggi della famiglia dello scrivente. Ma è appunto anche nel nostro archivio domestico che le ricerche sono state infruttuose. Potrò ricostruire dei singoli monumenti l'origine prima, per quanto si riferisce a disposizioni testamentarie e ad atti relativi alla concessione degli spazi per collocare le tombe; ma nulla, assolutamente nulla, potrò dire circa gli autori. Né ho voluto abbandonarmi ad un facile lavoro di fantasia, accumulando nomi e dati ipotetici. La storia dell'arte locale non ne avrebbe tratto alcun vantaggio, né  il mio modesto lavoro alcun pregio.


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Auguro che altri possa — più di me fortunato — trovare le notizie, che io ho per più anni inutilmente cercate.

Queste dichiarazioni mi sono sembrate necessarie prima di procedere oltre nel mio scritto; tanto più che, così nel corso di questo non avrò più la necessità di ripetere le medesime considerazioni negative.

Trovo, invece, utile dare uno sguardo complessivo sù tutti questi nostri monumenti, di cui — pur non esagerandone l'importanza — si può dire che siano opere d'arte degne di nota. Osservo, intanto, che, anche per il loro numero, rappresentano quasi una rarità per le chiese dell' Umbria, in genere, e molto più per le minori.

La scultura nell'Umbria non ha avuto nei secoli lo sviluppo meraviglioso che in essa ebbe la pittura. Se abbiamo di questa una vera e propria e gloriosissima «scuola umbra» costituita da una pleiade di nomi famosi, che all'Umbria ed all'Italia hanno, con la loro ammirabile produzione, dato tesori d'arte magnifici ed innumerevoli, non altrettanto avvenne della scultura. Né ciò dicendo, vorrei assumere l'aria di fare una scoperta! Ma la constatazione m'è parsa necessaria, appunto per meglio mettere in rilievo il fatto non comune. di trovare così numerose opere dello scalpello riunite in questa nostra chiesa.

Poiché se nell' Umbria vennero dapprima i marmorari da Roma e più tardi dalla Toscana Nicolò Pisano, Arnolfo di Cambio, Agostino di Duccio; e dopo di essi scesero dal Veneto, Rocco da Vicenza e Giovanni di Giampietro da Venezia, per tacere di altri minori, i quali tutti lasciarono dell'arte loro esemplari che sembrano miracoli, come il duomo d'Orvieto. pur tuttavia essi non ebbero nell'Umbria séguito di scolari e di allievi; per quanto sulle orme immortali del Buonarroti s'inoltrassero coraggiosi Ippolito Scalza d'Orvieto e Vincenzo Danti di Perugia.

 Ma, dicevo, non abbiamo una scuola «umbra» di scultura; né i monumenti delle «Lagrime» ci danno ragione per cercare d' intravedere in essi l'opera di artisti locali, mancando come dissi, ogni documentazione. Basta però il solo fatto di trovare in una sola chiesa di una piccola città come Trevi, ben sette monumenti, di epoca relativamente buona, per poter affermare senza orgoglio, ma con verità che questa ricchezza di arte — qualunque ne sia la provenienza — può esserci da città maggiori invidiata e può dare a noi materia di ricerche e di studio.

 Che se della deficiente produzione di opere scultorie nell' Umbria vogliamo trovare una qualche ragionevole spiegazione, io credo


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si possa con fondamento ritenere che questa si abbia — almeno in parte — nella mancanza della materia prima, cioè di marmi e di pietre da lavoro e nelle difficoltà di trasportarne di lontano; difficoltà pressoché  insuperabili nei tempi andati. A conferma di questa mia ipotesi, sta il fatto che nelle regioni, sia pure montuose, come verso Visso, che fu città dell' Umbria, c'è relativa abbondanza di lavori di scultura, appunto per la vicinanza di cave di pietra da lavoro. E basterebbe ricordare — per meglio convincersi di ciò — che la storia delle cave di marmo delle Alpi Apuane compendia in sé una gran parte della storia della scultura italiana e che da quel commercio nacque in Versilia una scuola di scultura bella e ricca (1).

Per quanto riguarda il valore artistico dei monumenti delle «Lagrime» ho già detto che essi appartengono ad un'epoca relativamente buona. E questa è compresa tra la seconda metà del '500 e la prima del '600. Per quanto siamo abbastanza lontani dalla signorile eleganza quattrocentesca, siamo tuttavia abbastanza vicini al rinascimento; e se non troviamo nei monumenti delle «Lagrime» le grazie dei sommi, che in quelle fortunatissime età dell'oro trasformarono in meravigliosi musei chiese e palazzi, pure siamo anche a sufficienza lontani dalle aberrazioni del '600; onde queste nostre opere d'arte, sia per la loro architettura, come per le loro decorazioni, sono un buon materiale per lo studio dell'evoluzione artistica, a quei tempi.

Ho detto che manca ogni documentazione circa gli autori dei monumenti e che non mi permetto formulare ipotesi vane. Ma non devo passare sotto silenzio la convinzione che mi sono fatta, a cui poc'anzi accennavo, non doversi cioè attribuire questi lavori ad artisti locali, né umbri in genere. Dati i rapporti di famiglia e di affari che i committenti avevano a Roma, e, dato qualche lontano barlume che mi èstato possibile intravedere nelle mie ricerche, credo poter affermare che autori di questi monumenti devono essere stati artisti residenti a Roma. La grandiosità — per quanto relativa — la sapiente utilizzazione degli spazi, la proporzione delle linee, l'accuratezza dell'esecuzione devono escludere ogni possibilità di arte «paesana», come suol dirsi.

Ma più in là di questo non ardirei arrischiare le mie ipotesi e lascio ad altri la speranza di ben più fortunate indagini, le quali, forse, potrebbero essere fruttifere se — in base a qualche indizio, che

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(1) Aru Carlo. Gli scultori della Versilia, in : Bollettino d'arte del Ministero della P. I. — Anno II, Fasc: VIII, 1908, pag. 282.

 

 


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io non ho potuto procurarmi — fossero rivolte agli atti degli archivi notarili di Roma. Ma, in mancanza di una qualsiasi direttiva, la mole enorme da consultarsi rende quasi impossibile il tentativo; e non resta che confidare in qualche fortuito ritrovamento.

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Descllée, 1928 - pagg. da 242 a 245)

 

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