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La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime

6     L'INTERVENTO DEL COMUNE

 

 

(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 - pagg. da 41 a 47)

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Sembrerebbe naturale che di un avvenimento religioso, quale era quello del sorgere di una nuova devozione verso la Madonna, avesse dovuto interessarsi l'autorità ecclesiastica per regolare tutto ciò che si svolgeva intorno alla miracolosa «maestà». Però non fu così.

I documenti che possediamo ci danno la prova del sollecito e diretto intervento del comune in questo avvenimento d'origine popolare. E l'opera del comune fu oculata. assidua, prudente. Quando venne il momento di sistemare in modo definitivo ciò che concerneva il culto della nuova chiesa, si rivolse alla competente autorità ecclesiastica; ma non prima.

Fino dal 30 Settembre 1485, cioè appena 55 giorni dopo la «scoperta» dell'imagine miracolosa, il comune prese in consegna i doni e le elemosine; e ne fece l'elenco per mano del cancelliere del comune: Giuliano Pellegrini, da Capranica(1).

I primi «operai» furono Piermartino Petroni e Bartolomeo Lucarini, due cittadini delle più illustri famiglie. Ed ebbero la qualifica di «operarii», come era 1' uso di quei tempi, poiché s'incaricavano dell'«opera» della nuova chiesa. E tale qualifica è conservata anche oggi in molte simili amministrazioni.

 

Merita speciale esame il sistema tenuto dal comune nell'organizzare,

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(1) Archivio delle 3 chiavi Trevi N. 155.

 


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 come si direbbe oggi, tutto ciò che si riferiva alla gestione dei beni che affluivano alle «Lagrime».
 

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La prima nomina di «operai» fu fatta dai deputati delle «Lagrime» il 3 Settembre 1485 (1): e si chiamarono anche «santenses»; vocabolo che vive tuttora negli attuali «santesi», che hanno l'incarico — nelle nostre campagne — di raccogliere offerte in denari ed in generi, per le feste dei santi protettori od altre.

Successivamente, il 5 Marzo 1486, venivano nominati 11 «deputati per la cappella che era in costruzione. E così, periodicamente, si rinnovavano gli «operai» che duravano in carica sei mesi; poi un anno.

Coi «deputati» c'erano anche i «custodi» oltre ai «cappellani» anch'essi nominati dal comune: e per la prima volta, il 13 Maggio 1486. L' intromissione del comune in tali questioni era così energica, che 1'8 Agosto di quell'anno si proibì ad un tale D. Melchiorre di celebrare messa nella cappella della Madonna.

Tra tutti gli addetti alla nuova opera il comune stabiliva una specie di gerarchia; e così deliberava che gli «operai» non potessero dare ordini ai «custodi».

Le nomine di tali cittadini si succedono molto frequentemente nelle «Riformanze» del comune; e — se è interessante leggere i relativi verbali nell'originale — non altrettanto utile può riuscire la pubblicazione di essi che, salvo nei nomi, sono sempre uniformi. Venivano, però, divise le attribuzioni(a), e mentre, come vedemmo, c'era chi aveva l'incarico di tenere in consegna le offerte, si affidava a commissioni speciali l'incaricò di provvedere o alla calce, o alla pietra, o ad altro che potesse occorrere per la fabbrica.

Coll'andare del tempo, — e precisamente il 19 Marzo 1487 — si aggiunsero agli altri incaricati gli «officiales», per la cresciuta importanza dell'amministrazione a cagione della fabbrica che tra poco si sarebbe iniziata. Per la custodia continua della cappella ci fu un devoto che si offrì di risiedere in permanenza lì presso. E si chiamò .: l'oblato di S. Maria delle Lagrime». Il verbale del 3 Maggio 1487 lo qualifica «quel buon uomo che si offrì per la detta chiesa». Il consiglio, in compenso, delibera di fornirgli il vitto giornaliero.

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(a) nel testo: attribuizioni.

(1) Per tutti i fatti indicati con una data precisa e in mancanza di altre annotazioni, s' intende che i relativi documenti si trovano nelle «Riformauze» sotto la data medesima.

 

 

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Anche i cappellani erano nominati dal consiglio e duravano in carica sei mesi. Le loro mansioni vennero, fino dal principio, ben determinate dagli addetti alle «Lagrime»; i quali il 6 Giugno 1487 stabilivano che i cappellani dovessero esercitare il loro ufficio personalmente; onde non potevano farsi sostituire da altri.

I «deputati» stabilivano quante messe si dovessero celebrare nella cappella e con quale elemosina. Così fu fissato che, oltre a quella del cappellano, non si dovessero celebrare più di tre messe, a meno che i fedeli portassero elemosine destinate espressamente a tale scopo. Per una messa nei giorni feriali si dava un «bolognino» e due nei giorni festivi.

Notiamo l'oculatezza di quei «deputati». Essi, nonostante la loro profonda fede religiosa, non volevano che dai denari offerti dai fedeli alla cappella si distraessero soverchie somme per la celebrazione delle messe. Assicurato un culto decoroso, al di più avrebbero dovuto provvedere i devoti, se volevano. Ed ai cappellani si faceva espressa proibizione di immischiarsi in tale faccenda delle messe: in nessun modo! (1).

I «depositari» dei denari e dei doni venivano sorteggiati in consiglio ed anch'essi duravano in carica sei mesi; poi un anno. La chiusura dei loro conti era fatta in comune da due «operai». In seguito tutti gli addetti formarono la «Società della Madonna delle lagrime» presieduta da un suo priore; ma non era una confraternita nel senso attuale della parola. Della erezione della «Confraternita di S. Maria delle lagrime» si parlò soltanto nel 1618 (2).

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Il comune che sentiva tutta l' importanza e tutta la responsabilità dell' impresa, esigeva dagli incaricati che adempiessero scrupolosamente ai loro doveri. Così troviamo che i «custodi», che non avessero fatta buona sorveglianza o non avessero provveduto a quanto occorreva per la fabbrica, dovevano pagare la multa di un «fiorino».

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(1) Qui in dcta re non debeant se immiscere quoquo modo. (A r c h i v i o delle 3 chiavi No 155, Riformanze 1487, f: 72t).

(2) A r c h i v i o delle 3 chiavi, Busta 1600-1700). Tre cittadini trevani: Corinto Citeroni, Camillo Celli e Leonzio Martinelli avevano domandata facoltà di istituire  la Confraternita delle «Lagrime». Il vescovo di Spoleto, Lorenzo Castrucci, per mezzo del suo vicario, Andrea Billochi, concede tale autorizzazione, salva l'approvazione dei capitoli (29 settembre 1618).


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Ma il loro ufficio era gratuito. E più tardi — l'8 Gennaio 1488 — fu deliberato che essi facessero la guardia dal levare del sole, fino al tramonto: pena due «fiorini».

La «società» Si adunava spesso nella sala comunale e i verbali di tali riunioni fanno parte delle «Riformanze», ossia sono alternati con esse. Delle deliberazioni della «società» avrò occasione di parlare quando tratterò della fabbrica della chiesa.

In vista del sempre crescente lavoro, i componenti la «società» furono portati da 11 a 34, il 23 Febbraio 1494. E tra essi furono nominati due revisori dei conti (rationatores).

Poco dopo anche il numero dei cappellani fu portato a due — il 22 Maggio 1494 — e furono D. Nicola Marzolini e D. Valentino Vannis (= di Giovanni) Salvi. Quando si presentò la necessità di deliberazioni importanti per il definitivo assetto della chiesa e dei suoi beni, fu sempre il comune che se ne interessò, per mezzo del Consiglio generale, oltre che della «società».

E in casi più gravi nominò speciali commissioni, chiamando a farne parte i rappresentanti di tutti i «terzieri», cioè di Trevi, di Matigge del Piano. nei quali era diviso il territorio del comune.

Inutile dire che in tutto ciò che si riferiva alla nuova chiesa, alla quale il fervore del popolo aveva dato quanto più poteva, il comune volle la collaborazione di ogni classe eli cittadini. Ma specialmente diedero la loro opera ssidua i Lucarini, i Petroni, i Valenti, i Contucci. E. quando la fabbrica della nuova chiesa fu inoltrata, furono nominati — il 30 Marzo 1500 — sei «conservatori» due per e terziero»; che, insieme ai «sindaci», agli «operai», ai «camerlenghi», ai «depositari» dei denari e dei panni e ad altri «officiali» formavano un corpo di 31 individui, che continuarono la loro opera fino al giorno in cui la chiesa delle «Lagrime» fu consegnata alla congregazione religiosa, alla quale il comune — sempre di sua iniziativa e scelta — volle affidarla.

Ora., su questa opera oculata, diligente ed energica che il comune nostro esplicò in tale nuova ed eccezionale occasione, vengono spontanee alla mente alcune considerazioni, che mi sembra, utile esporre.

Se un fatto simile a questo di cui ci occupiamo, la manifestazione, cioè, di un' imagine prodigiosa agli occhi dei credenti, si avverasse ai tempi nostri, è fuor di dubbio che l'autorità ecclesiastica interverrebbe subito ed efficacemente, sia per la parte religiosa, che per l'economica. Ne abbiamo un esempio, assai vicino a noi di luogo

 

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e di tempo, in ciò che.avvenne nel 1862 al tempo della «scoperta» della, Madonna «della Stella» in territorio di Moutefaleo. Anche lì affluirono i devoti, e con essi le elemosine e i doni; ma, per i mutati tempi, non fu il comune che di ciò prese cura, bensì L'arcivescovo di Spoleto.

I1 contrario, invece, accadde per la Madonna delle Lagrime, quattro secoli avanti. L'autorità ecclesiastica non prese alcuna parte all'avvenimento e fu del tutto assente; pur non ostacolando nè l'entusiasmo dei fedeli, nè l'iniziativa del comune; il quale — come dissi — oltre ad assumere la gestione di tutte le risorse finanziarie, esercitò atti di tale natura che sarebbero sembrati ben più confacenti all'autorità religiosa; come: la nomina dei cappellani. la proibizione a taluno dei sacerdoti di celebrare la messa nella nuova cappella, la fissazione delle elemosine ai celebranti e, più tardi. la ricerca di una comunità religiosa cui affidare il santuario; e simili.

Per comprendere oggi come tutto ciò potesse avvenire, è necessario rievocare il complesso delle istituzioni che dei comuni erano la base e la vita ad un tempo. I comuni che — pur sotto la tutela della Chiesa si davano volontariamente statuti e leggi; che nei loro consigli generali decidevano di cause penali, che emanavano provvedimenti fiscali e finanziarii, che — talvolta — battevano moneta, vivevano, può dirsi. di vita propria, per quanto soggetti alla cupidigia ed alle aggressioni dei vicini.

Era. quindi, naturale, allora, che della nuova manifestazione dell'animo religioso del popolo il comune assumesse la direzione e la responsabilità, e con la sua autorità tutelasse e coprisse la buona fede di coloro, che, secondo le forze, davano parte dei loro beni al nascente santuario. Onde si spiega tutto ciò che il comune di Trevi fece in quella occasione. Né può dirsi che dell' intervento dell'autorità ecclesiastica siano scomparsi i documenti; poiché se essa avesse presa una qualsiasi parte negli avvenimenti religiosi che vengo narrando, non ne sarebbe mancata qualche traccia nella numerosa serie dei documenti che si conservano. Nulla, invece, né dall'archivio comunale, né da quello della Curia arcivescovile di Spoleto, né dagli «Annali» del Mugnoni risulta, che valga a fare nemmeno sorgere il dubbio di un qualche interessamento dell'autorità ecclesiastica in questa materia. Quando, con l'andare del tempo. i religiosi cui fu consegnato il santuario, e, dopo di essi, il comune vollero o dovettero rivolgersi al papa od all'arcivescovo di Spoleto, come vedremo, i documenti ce ne danno le prove abbondanti.

Non ho dati di fatto per istituire confronti .del come in casi simili e di quei tempi si sia regolata l'autorità ecclesiastica in altri luoghi:

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 sarebbe certo interessante. Sappiamo, però, che due secoli prima la Repubblica di Orvieto interveniva energicamente ed esplicava la sua opera e la sua autorità in tutte le manifestazioni che seguirono il miracolo detto «di Bolsena»; e nel corso dei secoli, fino a tempi presenti, il comune stesso, che fece sorgere quel miracolo di arte che è il meraviglioso suo duomo, difese strenuamente — anche contro l'autorità ecclesiastica — la sua supremazia di fronte alla nuova istituzione (1).

E, continuando, dico che non può neanche sorgere il dubbio che l'autorità ecclesiastica si sia disinteressata della cosa, a Trevi, per non pronunciarsi col suo intervento, circa l'autenticità o meno dei fatti prodigiosi che infiammavano l'anima del popolo. Simili slanci di fede erano frequenti nell'età di mezzo; e la Chiesa — anche se rimaneva assente — non credeva necessario frenare l'entusiasmo dei fedeli; specialmente nei tempi di calamità pubbliche, alle quali ogni conforto spirituale era di grande sollievo.

Per ultimo vorrei anche esprimere l'opinione che agli occhi della autorità ecclesiastica l'opera sollecita del comune, la rispettabilità delle persone che di esso erano a capo — le une e le altre sempre deferenti alla chiesa — poterono sembrare efficaci garanzie per lasciar proseguire nel sistema iniziato. Non solo: ma io credo che il comune, intervenendo con la sua autorità e con la sua tutela in tutto ciò che riguardava il nuovo santuario, non facesse altro che esercitare un suo diritto, consacrato negli antichissimi Statuti municipali, riveduti nel 1427.

Questi, infatti, dispongono che il comune debba eleggere tre «sanctuarii» o «santenses» uno per ogni terziero, i quali, affinché «gli affari delle chiese siano trattati rettamente ed affinché non avvengano dissipazioni», devono sorvegliare le chiese di S. Emiliano, di S. Francesco, di S. Giovanni con l'annesso ospedale, e di S. Tommaso con l'altro ospedale per i lebrosi, nonché tutte le confraternite. I «sanctuarii dovevano redigere gl'inventari, tenere il libro dell'entrata e dell'uscita, vigilare che non avvenissero frodi, sotto la pena dell' infamia per essi e di 100 «libbre» di denari. In compenso del loro ufficio, che era obbligatorio, ricevevano 40 «soldi» per ciascuno all'anno. Allo scadere di questo dovevano presentare i loro conti al podestà, il quale, se vi erano frodi o negligenze, puniva le prime con

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(1) Fumi LuigiStatuti e regesti dell'opera di S. Maria in Orvieto — Perali pericleMemoria sull'attuale stato giuridico dell' Opera del Duomo di Orvietoivi, Marsili, 1922


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una multa di 10 «libbre» di denari e le altre con 40 «soldi», oltre al rifacimento dei danni (1).

Tenendo presenti queste disposizioni che si riferivano alle principali chiese ed ai più importanti istituti di beneficenza allora esistenti, il comune non esitò punto ad applicarle, per ragionevolissima analogia, alla nuova manifestazione del sentimento religioso del popolo ed alla chiesa delle «Lagrime», che stava per sorgere sotto così promettenti auspici di fede e di elemosine.

Così e non altrimenti va inteso l' intervento del comune, il quale non volle certamente ribellarsi all'autorità ecclesiastica, nè invadere il campo delle attribuzioni di essa: ma volle — allora, come sempre — valersi dei suoi indiscutibili sovrani diritti.

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(1) «Statuta Vetustiora» del comune di Trevi — Libro I — Rubrica III — f: 6t. in Archivio delle 3 chiavi - N° 70.

 

 

 

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(Tommaso Valenti, La chiesa monumentale della Madonna delle Lagrime, Roma, Desclée, 1928 pagg. da 41 a 47)

 

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