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La Chiesa di San Francesco a Trevi
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[Note: Nella trascrizione è stata cambiata
la è grave in é acuta (perché.
poiché, invece di
perchè,
poichè come figurano
nel testo originale)
L'articolo è stato pubblicato a pag. 55 di "Studi Francescani" (Già "La Verna") Gennaio-Marzo 1924, n°1 _____________________________________________________
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<3> La Chiesa di San Francesco a Trevi Memorie Storiche Francescane
Quando si sale su per lo stradone che dalla pianura
conduce a Trevi, la città grigia e rosea, circondata dal ricamo argenteo
degli ulivi, e tutta protesa e rampante sul declivio della dolce collina,
si ha come il presagio di una beatitudine imminente, poiché si sa di
andare in silenzio verso la musica e la luce: la musica della bellezza e
la luce dello spirito. Si vedono loggie fiorite, dal ballatoio medievale con
mensole di pietra, finestre di mattoni ad arco tondo, inghirlandate di
verde, vecchi muri di cinta, fortificati da torrioni angolari, viuzze
ripide, piene di penombra e di mistero. Verso la piaggia di S. Francesco
.un'edicola civitale s'eleva sopra il muraglione di cinta, lungo il
margine della strada bianca: è tutto quel che resta d'una chiesuola della
santa vergine Reparata, che venne distrutta per costruire la via nuova che
scende fino alla Stazione. Lì dentro c'è un affresco lavorato di buona
mano da qualche imitatore di Giovanni Spagna: raffigura una Madonna in
trono, che reclinando la testina bionda, come un fiore illanguidito sullo
stelo, sorride e prega tra due angioli gentili, che stanno assorti in
adorazione estatica, con le braccia serrate in croce e il cuore vicino a
perdersi nel canto. E quando
ci si ferma un poco sul Belvedere, posto presso quel torrione triangolare,
che fu edificato nel 1477 da Francesco Maria vescovo di Spoleto e
governatore papale, ci sembra di trovarci. ad un tratto in una specie di
zona incantata, ricca di misteriosi influssi e di sottili incanti. Il
paesaggio umbro, che si estende laggiù, è così vasto e arioso, che al
primo respiro par ci si vuoti l'anima. La luminosità è così abbagliante e
viva, che ci sembra di vivere e respirare entro
una
fresca nuvola di raggi. La città serafica è lì, sul contrafforte del
Subasio, e più in basso s'intravede, in un vapore perlaceo, il profilo
della santa Porziuncola, [si può identificare
il profilo della basilica di S. Maria degli Angeli, che racchiude la
Porziuncola] dove ancora aleggia la poesia umile e odorante
dei
Fioretti. Lassù Montefalco protende al cielo le sue chiese e
torri medievali, quasi in un tacito rito d'offerta., misurato col gesto
grave della liturgia. Il campanile quadrato del suo tempio di S. Francesco
(1338) A pochi passi dal detto
Belvedere sorge il tempio monumentale di S. Francesco. E alzando da lì lo
sguardo voi scorgete subito una torre alta e snella, che si profila nella
purità del cielo umbro; sopra di esso le rondini sfondano rapide, come
freccie di antichi balestrieri. Quel campanile è assai vetusto: fu
costruito con muro grezzo nel secolo XIV, venne rivestito di pietre
d'intaglio nel 1640. Nel 1478 il Comune di Trevi erogò la somma di 25
fiorini «pro amore Dei» onde si rifacesse una campana. Accanto a quella
torre si prospetta l'abside trigona, di color grigio: nel lato mediano
scintilla vagamente un finestrone biforo ad arco gotico, avente nel
timpano un rosone polibale [=
polilobato?].
Fino al 1910 alcune case stavano addossate all'abside e al campanile,
deturpandone i lineamenti di pura bellezza(l). Sopra il tetto del Collegio
Lucarini apparisce la vecchia facciata della chiesa. Vi campeggia una
bella finestra a rosone geometrico, con colonnine radiali attorno al
centro. Più in alto sporgono due strane teste di pietra, che sembrano
maschere di bronzo; vi si vedono inoltre due palmizi stilizzati, due
piccole colombe, una croce bizantina gemmata, e altri motivi di
decorazione longobarda o romanica. Tale facciata non è anteriore alle
altre parti dell’edifizio, e risale al Trecento; ma quella lapide
figurativa in travertino, ____________________ (1) Conte
Dott. ALESSANDRO
[TOMMASO]
VALENTI,
Curiosità storiche trevane, pag.
126 Foligno, Campitelli, 1922).
L'ingresso principale s'apre
sul fianco destro dell'unica navata: vi si scorge un magnifico portale ad
archi acuti: le asce sono in pietra bianca del trevano colle Paterno, le
colonnine in pietra rossa del Subasio. Due leoni guelfi, chiaroscurati
dall'ombra dei secoli, fan da capitello d'arresto al primo arco (il
superiore) formato d'un listello e d'una gola rovescia. I capitelli sono
un viluppo di fogliame barbarico, stilizzato, con molta grazia. Questo
portale è racchiuso in un solenne frontispizio di pietre intagliate, dal
grande arcone gotico: giunge sino alla linea del tetto e sporge di mezzo
metro dal muro della fiancata. Nel triangolo mistilineo, inscritto
dall'ultimo arco e dall'architrave, una Madonna del trecento, di. maniera
senese, vi guarda maternamente con due occhi placidi e puri di bambina
ingenua, e accetta l'omaggio di Francesco e Chiara d'Assisi. Qual
devozione profonda e tenera sentivano i trevani per questi due Santi!
Ricordo l'umile e commovente dedica che qui, nel magnifico Santuario delle
Lacrime, dove c’è un capolavoro firmata dal Perugino, si legge chiaramente
in basso a uno splendido affresco dello Spagna di Spoleto, raffigurante « Fino al vertice del portale d'ingresso, e per tutta l'intera lunghezza dell'edifizio, non si osserva che una cortina di pietre grigie a filari isometrici; ma più in alto, il muro è invece costruito, fino al tetto con pietre rosse trevane. I quattro mezzi pilastri, o piattabande, che rafforzano tale fiancata laterale, segnano il punto estremo ove un tempo cominciava il tetto della chiesa. Infine si capisce subito, guardando attentamente, che il frontispizio alto e decorativo venne costruito sui due pilastri di rinforzo che fiancheggiavano il portale d'ingresso; infatti esso è di un materiale più rozzo e meno antico di quello che servì ad erigere, non solo tutti i mezzi pilastri, ma l'intera fabbrica del tempio. Queste osservazioni estetiche che nessuno ha fatto finora, mi confermano nella mia convinzione cioè che l'edifizio venne accresciuto di altezza in tempi posteriori alla fondazione, di S. Francesco, e forse nel 1569, quando il Comune trevano erogò 10 scudi per la facciata che minacciava di crollare.
Il
Convento Nel
1213, S. Francesco adunò il popolo di Trevi sulla piazza grande, per
predicare l'ideale dell'evangelico amore. Un asino randagio cominciò a
scorrazzare, disturbando l'uditorio con le sue scorribande gioiose. Il
Santo gli comandò di star fermo e di non essere impertinente; e il
somarello obbedì subito, e anzi si pose ad d ascoltar la predica
santa. “Frate
asine, sta in quiete et dimitte me praedicare
populo – scrive il
cronista Bartolomeo Pisano –
E
subito l'asino Questa
deliziosa leggenda ci viene riferita da
Bartolomeo Pisano, da Luca Wadding, dall'Iacobilli e da altri storici e
agiografi: essa ha tramandato attraverso i secoli il suo profumo squisito,
per alimentare la tenera pietà dei trevani. E perché dobbiamo sottoporla
all'esame severo della critica? Le leggende sono il fiore miracolosi della
storia, e con la loro potenza noi possiamo risalire alle rive più remote
del gran fiume del tempo, approdare nelle isole armoniose del segno,
conversare famigliarmente con gli eroi antichi e vivere per un’ora
nell’atmosfera musicale del mito. Nel 1614
il pittore Gagliardi da Città di Castello, chiamato a decorare il chiostro
dei Conventuali di Trevi, dipinse l'episodio suddetto con ogni esattezza
di particolari. Nello sfondo scenico di qaell’affresco si vede la torre
del Comune col suo ballatoio pensile, o canestro,
eretto nel 1354 per sostegno della merlatura
quadrifronte, (ormai sparita) e nel centro della piazza si vede la fontana
poligona con la colonna di marmo, di cui ci parlano Durastante Natalucci e
Alessandro
[Tommaso] Valenti, egregi
storici trevani (3) ________________________. (1) Bartolomeo
Pisano Conformitates S. Francisci; Milano, 1510. (2)Wadding,
Annales Minorum; t. I, a.
1213, n. VI. - Iacobilli,
Vita dei santi e beati
dell'Umbria; tomo I, pag. 87, torno II, pag. 104.
P. Nicola Cavanna,
L'Umbria francescana illustrata; pag. 343; Unione Tip. Cooperativa,
Perugia 1910, (3) Essa aveva dieci lati (poligono regolare) e inoltre
otto faccie o mascheroni:
almeno così il Valenti la pensa. Quella fonte gaia è stata distrutta; ma
qualche frammento e nella fontana di Piazza del Mercato (Valenti, lib. cit. p. 7).
Il cenobio francescano nacque prima dell'attigua chiesa, e doveva essere di piccole proporzioni e di umile aspetto, conformemente allo spirito del beatissimo Padre. Nel 1258 già esisteva; infatti il Natalucci ci fa sapere che in quell’anno Alessandro IV inviò un breve papale ai religiosi di S. Francesco in Trevi. Questo prezioso documento era nell'archivio dei Conventuali, che è sventuratamente scomparso senza traccie. Del cenobio medievale non rimane più nulla; malgrado la sua nobile antichità e la sua gloriosa esistenza, fu demolito per intero quando i Frati i pensarono di farsi una più comoda abitazione, che fu condotta, a termine verso il 1630. I1 nuovo edifizio serviva per pochi sacerdoti e laici nonché come residenza del P. Ministro Provinciale, che doveva provvedere al proprio man tenimento e che adunava talvolta il Capitolo Provinciale. Doveva esservi un centro di cultura e di studi, giacché qualcuno Religiosi diveniva dottore o baccelliere («baccalareus »). Sotto gli affreschi sacri del chiostro, tra gli ornati e puttini in monocromo, leggiamo i nomi di alcuni Conventuali illustri: P. Felice Bandinelli e P. Giuseppe Cetronio, Guardiano del Convento trevano, P. Sante de Ruteis, Ministro Provinciale. Tutte le venti storie del Santo furono eseguite dal pittore Gagliardi, tranne una sola, su cui si legge questa iscrizione: Ant. Birremi [Birretta]de Trebio pingebat. A.D. 1715. Sotto il dipinto «Morte di S. Francesco» sì nota un'iscrizione leggibilissima: Gagliardus de Tifernio pingebat A D, 1614. Strano e bizzarro davvero questo cavaliere Gagliardi, maestro del colore e della spada! Dopo avere eseguito il soggetto «Morte di S. Francesco» in cui non manca madonna Jacopa dei Settesoli, egli si ritrasse in ginocchio innanzi al letto del beatissimo Padre, ma in un atteggiamento mondano ed elegante, con gli occhi rivolti fuori della patetica scena. Ha gambali di cuoio, dall'orlo riverso, giustacuore di velluto violaceo, colletto di trine bianche, chioma e pizzo alla D’Artagnan, spada signorile appesa alla cintura, e cappello di feltro rosso, con piume fiammanti, messo sotto il braccio. Egli doveva essere un artista geniale, avventuriero, bizzarro, come quel Bazzi detto il Sodoma, il quale dopo aver dipinto con molta devozione nella Badia di Monteoliveto presso Siena, ed essersi lasciato penetrare dal misticismo e dall’incanto di quella vita tranquilla, lontana dal tumulto della passione, si fece donare uno splendido abito dai monaci, poi fuggì via, e corse al pallio di Siena, per farsi riprendere dal mondo e da tutti i suoi piaceri.
Il convento trevano non era
molto ampio (vi dimoravano appena sei Religiosi!) e venne ingrandito di
recente per adattarlo alle esigenze del Convitto, fondato dal benemerito
Vergilio Lucarini, e era diretto dai figli del Ven. D. Bosco. Il chiostro
quadrilatero, dalle colonne ottagone, è pressoché intatto nelle sue linee
originarie, ma è stato chiuso il loggiato secentesco, dagli archi tondi e
dai Pilastrini decorativi. Nell'unico corridoio (gli altri si sono
trasformati in stanze e dormitori) si notano ornamenti policromi di stile
rococò. Affacciandosi alle finestre del lato occidentale si gode un
panorama sublime. Nelle giornate rigide e limpide, quando il cielo è terso
come un diamante, appare in lontananza la cima del serafico monte della
Verna, ove il Poverello ricevette sul corpo suggello fiammante delle
cinque piaghe. Tutta la
vallata è azzurra e vasta esame un mare, ma nelle mattinate d'autunno è
più completa la similitudine col maie e con le onde, giacché tutta
l'immensa pianura è interamente
coperta da uno strato di nebbia azzurro lattea, da cui Mentefalco
emerge sorridente su una, specie di promontorio tranquillo, per ricever il
respiro del paesaggio quieto e felice, e per rivelare la serenità dei suoi
fortunati abitatori. Alcuni asseriscono, senza
fondamento di notizie sicure, che la chiesa trevana di San Francesco
d'Assisi venne cominciata verso l’anno 1250. I più antichi documenti, che
ne fanno menzione, non. risalgono oltre il secolo XIV; da essi apprendiamo
che fu dapprima dedicata a S. Maria, poi al B. Ventura. Una riformanza
consiliare dal 1358 obbligava tutti gli abitanti di Matigge, borgata
trevana, a portare ai Conventuali una soma di pietre per ciascuno,
utilizzando tutte le bestie «actas ad salmam portandam»(1).
Fino al
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Valenti, lib, c it., pag,
128. «Il tempio fu cominciato a fabbricare nel 1354. Infatti il 28 agosto
di quell'anno il Consiglio imponeva a tutti i popolani
di Trevi di portare una soma di legna ai Conventuali per la fornace
della calce da servire all'ampliamento della chiesa di S, Ventura». (Valenti,
lib. Cit. pag. 128).
Il tempio insigne non fu,
credo, iniziato prima del Trecento. Prescindendo dal fatto essenziale che
tutti gli affreschi, che lì abbelliscono pareti e cappelle, rivelano
concordemente l'influenza della scuola giottesca, e non mai la maniera
bizantina del duecento, io ho constatato che la chiesa somiglia
Moltissimo, nella struttura e nell'aspetto, (salvo qualche variante
stilistica), a quella di S. Maria di Valdiponte o Montelabate (Perugia) e
a quella di S. Francesco a Mentefalco, costruite entrambe nel sec. XIV ad
imitazione della basilica assisana del Santo, la quale divenne archetipo e
madre d'una filiazione di chiese francescane coeve, da S. Francesco di
Gubbio a S. Francesco di Bologna. Il tempio leggiadro di Montefalco
Possiede, come questo di Trevi un abside poligona con finestrone biforo al
centro e due cappelle laterali all'abside, adorne con costoloni rampanti,
che convergono verso la chiave della volta a crociere. Adesso entriamo devotamente
nella navata spaziosa ed alta per contemplare con due puri occhi lo
splendore della bellezza immortale. Appena, si entra Si scorge subito
un'acquasantiera di pietra bianca, elle porta lo stemma ed il nome del
donatore: Aquilantes Guafferrus.[più
precisamente: Giraferrus] In alto, sulla
parete, una dolcissima Madonna vi guarda con due occhioni di bambina
innocente, mentre il Bambino si trastulla con un'arancia rosea. All’altro
lato della porta, sul muro, sta una Madonna di scuola eugubina (sembra
lavoro del Palmerucci) ed in basso una seconda acquasantiera di basalto
(*)
a
foggia di conchiglia marina: è un'offerta di qualche discendente della
illustre
__________________________
(l)
Pierangelo
[più precisamente: Francesco]
Mugnoni,
Annali manoscritti,. Bibl. Vaticana, Codici Capponiani, N., 178,
n. 82.
[Nell’edizione del 1921, è pag. 112, sub 1484]
(2) La,
riformanza del 26 agosto 1354, ci parla d'una chiesa del B. Ventura (poi
dedicata al Serafico) che allora si ricostruiva:
quae noviter aedificatur.
Dunque noi possiamo credere all'esistenza d'una chiesa più antica, ma non
già sotterranea come attesta arbitrariamente Natalucci. Nonostante la
suddetta riformanza, non abbiamo altre prove e notizie sicure; manca
quindi la base per una certezza storica assoluta.
[Nei lavori di trasformazione
dell’edificio per la sistemazione del museo, nel 1995, fu scoperta la
parte inferiore della facciata ovest della chiesa ed è emerso, al piano
inferiore, il portale gotico di ingresso della chiesa di Santa Maria] (*) [in realtà è di pietra tenera o "pietra serena". Negli anni Settanta del '900, quando, in attesa dei restauri, crollò parte del tetto, l'acquasantiera ne fu vistosamente mutilata]<10> e secolare famiglia dei Valenti di Trevi, che diede alla patria une stuolo di oratori, magistrati, giuristi , scrittori eruditi , tra cui il cardinale Erminio, sepolto nel santuario della Madonna delle Lacrime Dovunque, sui muri
intonacati, si stendono affreschi votivi che fino a, pochi anni addietro
tacevano con la loro bellezza sepolta. In fonde alla navata, un polittico
murale del Mezzastris di Foligno,
link o nota: recenti studi
critici.. TODINI
e due episodi della Passione, di
scuola giottesca; accanto all'altare della Madonna
ad Nives c'è la «Presentazione di Gesù al Tempio » e ai lati la profetessa Anna,
che ha nelle mani una specie li rotulo sibillino. Le immagini di S.
Antonio, di S. Elisabetta, di S. Bernardino, di S. Ludovico da Tolosa, e
di tanti altri santi dell'Ordine sono spesso lì ripetute. Dovunque vedete
profili di santi, testine di madonne, parvenze d'angeli, che vi fissano
con due occhi profondi, velati di sogno e di mistero. Hanno volti calmi,
occhi dolci, gesti lenti .squisiti pallori e raffinamenti della forma.
Sulla loro fronte traluce la beatitudine e la grazia d'un paradiso ignoto,
deve regna il silenzio delle passioni mortali e si spezza la spada roggia
del desiderio. Ma quale strano incanto li attira? Sono estranei
all'infinito respiro del mondo. scrutano Perciò con sguardi pieni di
stupore e d'ansietà, E. sembrano fortemente turbali nella leva serenità
inconsapevole, dall'apparizione della nostra figura umana. La loro
atmosfera, è molto differente dalla nostra, ma vi vorremmo vivere in
un'ora di bontà e d'innocenza, per dimenticare … Le sante diafane e delicate
possiedono lì dentro una bellezza quasi liturgica, e par che la loro bocca
suggellata e casta esali un profumo di verginità e un aroma di boschi; tra
di esse non manca la martire alessandrina, dalla ruota dentata. I pittori
medievali avevano davvero mia predilezione speciale nell'effigiare questa
martire — Caterina
d'Alessandria: — la raffiguravano sottile bionda e rosea, con un petto
quasi infantile, con un manto di porpora sanguigna, orlato di candido
ermellino. S. Sebastiano e S. Rocco erano Poi santi prediletti in
quell'epoca, perché la lebbra e la peste facevano strage crudele. Nel 1471
i magistrati pubblici di Trevi vollero che si erigesse nella nostra chiesa
una cappella in onore di Sebastiano, milite imperiale, «Meritis et
precibus eius - dice la riformanza comunale — periculum, atrocissimae
pestis evadere valeamus»(1). (1) VALENTI, lib. Cit. pag. 129.
Cappella del
B. Ventura di Pissignano.
— La prima cappella,
a destra di chi guarda
l'abside corale, ha un'arca funeraria, finemente scolpita. In alto, una
cuspide goticizzante, con timpano ad. arco trilobo, con colonnine di
pietra rossa, dal capitello lumeggiato d'oro; in basso sorge l'arca a
pluteo con decorazione geometrica ch'è un intreccio di circoli in pietra
bianca su tondi di pietra rossa. Sull'orlo superiore della tomba si legge:
Ossa Beati
Venturae.
La parete di fondo, sotto la cuspide saliente, doveva essere
decorata con qualche Madonna trecentesca; ma il barocco profanatore riempì
quel vuoto con stucchi dorati, vi fece una specie di nicchia, e vi collocò
la statua dell'Immacolata. Anche l'altra cappella, coeva e consimile, fu
deturpata in maniera identica, per mettervi la statua del Santo di Padova
[ora rimossa, dopo la profanazione con il furto del Bambino che il Santo
teneva in braccio] Ma
quando vennero lì deposte le reliquie del beato eremita Ventura? E perché
furono rinchiuse nella tomba che porta lo stemma a della nobile famiglia
dei Petroni? Ce ne informa il Natalucci, storico del secolo XVIII,
narrandoci che le ossa; di quel beato 203 anni dopo la sua morte furono lì
collocate «… per la congiuntura
della fondazione dell'Altar Maggiore, e prima erano in un'arca di pietra
(l), assieme al manoscritto della di lui vita, quasi affatto consumato. Le
quali (ossa) il 20
settembre del 1593, che videsi placido come un giorno di primavera, furono
trasportate al nuovo altare ad istanza di mastro Muzio Petroni con solenni
feste et concorso di Populi, specialmente del Castello di Pissignano
venendo rimesse entro due casse di stagno et di cipresso con la vita di
nuovo stampata e varii elogi di lode (sic !) delle sue gesta» (2).
Altar Maggiore.
«Era egregiamente adorno con statue e colonne dì stucco, costrutto ad
honore di Dio, della Madonna, di San Francesco, da Mastro Cristofaro e
Pomponio De Angelis, e dotato di una messa quotidiana». Portava
questa iscrizione: D. O. M. Beate
Dei Genitrici, Beato Francisco Seraphico, Gloria, Laus, Honor. Pomponius
De Angelis et Cristophorus frater posuervnt et pro una missa.celebranda
hic dotaverunt. A D1593, Su quell'altar maggiore, ____________________________ (1) Esiste ancora. Giace in
fondo alla navata. (2)
Durastante Natalucci,Historia
universale di Trevi, manoscritto inedito di 1233 pagine, in 8.
grande, che appartiene al gentilissimo Sig. Giuseppe. Natalucci di Trevi.[edito
nel 1985]
LINK
Il Durastante, che ora e sepolto
nella chiesa monumentale di S. Francesco, scrisse quelle memorie storiche
trevane nel 1745. LINK
Chi era Valenti Giacomo? Un
legista, un oratore, un magistrato famoso. Circondò Trevi di belle mura,
vi portò acque fresche e chiare, riformò gli statuti cittadini.
«Prima di morire — scrive il Natalucci — aveva fatto varii Legati ai
monasteri e alcuni offitii
di famiglia in tutte le feste nel
medesimo altare da lui eretto e dotato presso i Padri Conventuali, che fin
ad oggi ne riscuotono i Canoni»(2). La lapide tombale valentina è
state, tolta dal suo posto, e incastrata lateralmente, nel muro. L'effigie
del magistrato, è scolpita sulla pietra rossa, e composta nella pace
suprema della, morte. Porta il robone e il camauro; riposa su una coltre
orlata d'oro. Ha le braccia in croce. Tiene allato un codice con borchie
d'oro. La sua figura ha tanta purità e durezza di linee, che sembra incisa
nel rigido adamante, Quella lapide e quell'uomo, obliati in un canto della
chiesa, rivelano la vanità degli onori terreni. A che affannarsi per le
cose mortali se tutti dobbiamo tornare alla gran madre antica? ___________________________ (1) «In Christi nomine. Amen.
A. D. 1257 [Errato. Deve intendersi
1357]. Inditione X tempore Domini
Innocentii P.P. VI, mense novembris. Istud est sepulchrum Domini Valentis
Iacobi de Trebio et eius haeredum, factum in ista sua cappella
sub vocabulo Sancti Antonii, quae sepoltura facta est ad perpetuam rei
memoriam et testimonium».CLEMENTE BARTOLINI,
Antichità Valentine; Perugia
1828.
La nostra vita è mutevole e
fugace come l'ombra d'una nuvola sull'acqua. Una cosa solo è
necessaria: la vita alta dello spirito. La migliore e ultima
significazione di quella cappella magnatizia è dunque la singolare
devozione che la famiglia Valenti e i cittadini trevani nutrivano per il
glorioso Antonio di Padova e per l'Ordine dei Frati Minori. E solamente
ciò è eloquente e unica, «perpetuam
rei memoriam et testimonium» come attesta l'epigrafe della
sepoltura valentina. Un tempo la chiesa aveva,
parecchi altari barocchi, adorni di frontispizi, colonne, statue, targhe e
festoni, in stucco e oro. Per fortuna nostra, e dell'arte umbra, ne
restano soltanto quattro. Son pochi, è vero, ma ingombrano il tempio, e lo
profanano, lo deturpano orribilmente, Non vogliamo descrivere il gran
numero d'altari consimili, che regnavano nella vasta navata; ci basta
esserci liberati in gran parte da quel baroccume pretenzioso e massiccio,
S. Sebastiano, S. Michele Arcangelo, S. Anna, S. Crispino, il Buon Gesù
etc., vi avevano Il proprio altare. Giustamente il dotto Conte Alessandro
[Tommaso]
Valenti, che discende dalla magnanima stirpe,
scisse così: «La rigida ed elegante architettura del secolo XIV fu
deturpata nel Seicento e nel Settecento dalle goffe e barocchissime
sovrapposizioni di numerosi altari,
uno più deplorevole dell'altro»(1).
E ci vorrebbe tanto a rimuovere gli altri quattro? Il buon volere basta.
Non sarebbe poi spesa eccessiva il sostituirli con altari liturgici: una
mensa di rude travertino, un cippo di pietra, qualche paio di candelieri
in ferro battuto, e null'altro. Ma nel peggiore dei casi ci contenteremmo
che quei quattro altari si togliessero di là; non chiederemmo di meglio.
Nel 1563 il Comune spese 10 fiorini per rimettere una trave al soffitto
della chiesa francescana, e nel 1610 spese 12 scudi pel medesimo scopo.
Adesso c'è appunto nel tetto una trave malandata; invece di metterne una
nuova la si puntelli con due lunghi pali. Ecco come si restaura e
abbellisce ormai il glorioso edifizio... In questo modo! (2).
Altare della Madonna della Neve.-
Il bellissimo tempio conserva tuttora la sua pianta primitiva, la sua
fisionomia medievale, le linee originarie della sua massa costruttiva,
specie all'esterno;
______________________________ (l)
Valenti, lib. cit. Pag. 129. (2) Speriamo che provveda
meglio la Sovrintendenza Regionale dei Monumenti in Perugia.
Altare delle
Stimmate.
E' di
fronte, all'altro lato.
Venne eretto dalla pietà del
perugino Grifone Petroni
nel 1606; fu dotato
di 100 fiorini «per l'olio per la
lampada ». In seguito passò alla confraternita
dei Terziari Francescani. Il buon Grifone sta sepolto davanti al
suo altare, per segno e
per fede. Altare del
Crocifisso.
Eretto nel
1593 dai fratelli
Pomponio e Cristofaro De
Angelis Ha una tela pregevole. . Altare dello ,Spirito Santo.
Un'iscrizione posta sul
plinto delle lue colonne
dice così; P. Philippus Palatius philosophus artis medicine doctor hoc
opus fieri iussit. Ascanius Palatius frater eius haec res complevit. A. D
1623.
Organo.
Nel mezzo della
chiesa si vede un grande organo. La sua cantoria
gigantesca, di legno intagliato, ha
per decorazione delle
brutte figure d santi. E' opera della a fine del Cinquecento e
costò parecchi fiorini e scudi al
Comune e trevano Valeva la
pena di spendere tanto denaro per una sconcezza simile? Anche
quell’organo contribuisce a
svisare i
lineamenti 'della Chiesa. E poi da un pezzo non canta più. Le sue
canne sonore hanno troppa
polvere. E pare che i
santi francescani dipinti sui
paliotti della tribuna dei cantori siano malinconici nel desiderio
nostalgico di melodie fresche e sante. Sacrestia. – C’è un lavabo in terracotta di stile
robbianescoo lavorato verso la fine del Cinquecento. In alto vedesi
un'anfora con due anse, e dei vaghi puttini nudi, che sorreggono un
festone di fogliame, frutta e biade, tra cui non manca il
granturco e il cetriuolo.
_______________________________
(1) Attingiamo tutte queste notizie inedite dall'opera preziosa del
Natalucci che parla della chiesa di S. Francesco nelle pagg. 130 - 135 del
suo manoscritto.
Dentro una nicchia
c'è una specie di presepio pure di terracotta a smalto. Vi si scorge uno
scenario di roccie di cieli, di cipressi e un campanile lontano. Si
direbbe che lo scultore abbia voluto ritrarre la Verna. Due teste
faunesche per l'acqua guatano dalla placida fonte delle abluzioni. Tale
sacrestia si arricchiva una volta di magnifiche pianete, di sfarzose
suppellettili: c'erano anche dei mobili d'argento come afferma il
Natalucci. Molti doni venivano offerti dalle compagnie religiose: quella
della SS. Concezione, istituita nel1629 quella dei Cordigeri di S.
Francesco, fondata nel 1306, quella dei Terziari, stabilita sin dal 1250,
quella del Carmine, canonicamente eretta nel 1640 con facoltà data al P.
Guardiano di benedire lo scapolare.
*** Le
più nobili famiglie trevane chiedevano la grazia di ottenere la sepoltura
in questa chiesa di Santo Francesco, e ne dotavano generosamente altari e
cappelle, mentre il Comune erogava continue elemosine ai Frati Minori per
il vestiario, per la carne, per l'orto, per le cerimonie del culto, e
inoltre concedeva a spesso some di vino, coppe di granoturco rubbie di
frumento. Dopo la soppressione delle Congregazioni monastiche, i P.P.
Conventuali sparirono dalla città di Trevi, e quivi ritornarono invece i
Minori Osservanti, che hanno la piccola chiesa
di S. Martino, dove lo Spagna
lasciò col magico Questo tempio insigne si lega
intimamente a tutta la storia civile e religiosa di Trevi, ne spiega
l'ambiente storico, ne illumina la fede popolare, ne palesa le grandezze e
le glorie più fulgide. Le lapidi funerarie, le cappelle magnatizie, gli
affreschi votivi, e financo i panconi di legno secentesco e Stemmato,
tutto ci fa conoscere la fiamma di spiritualità cristiana che animava
ilcuore
___________________ (1) Della chiesa e convento di S. Martino, parla alungo il p. Benvenuto Bazzocchini nella sua «Cronaca della Provincia Serafica di S. Chiara d’Assisi», cap.IX, pagg. 133-134 (Firenze, Tipografia Barbera, 1921)
Guerrieri, dottori,
magistrati, e gentildonne riposano serenamente sotto il pavimento della
navata trionfale, e godono ancora a la protezione dei santi tutelari da
essi teneramente invocati per la salvezza dell'anima propria, per la gioia
più pura dei loro figliuoli, per la prosperità della dolce terra nativa.
Noi passiamo con indifferenza su quelle lapidi tombali di pietra grigia,
corrose dai piedi dell’uomo e non ricordiamo qual vittoriosa speranza. e
quale implacabile amore siano discesi nelle profondità oscure del sepolcro
per aspettarvi la risurrezione e la luce. Quelle pietre, quegli archi,
quei colori, quei marmi li ha innalzati un tesoro di fede inestinguibile,
li ha profumati la grazia mistica delle orazioni, li ha purificati la
santità della morte cristiana. E ancora dai vecchi altari,
dalle pitture sacre, dalle lapidi marmoree e dal portale gotico risalgono
perennemente parole evangeliche di bontà, voci velate d'anime lontane,
sogni di innocenza e di serenità, casti aromi di preghiera e d'amore.
Salgono e dileguano francescanamente oltre l'azzurro cielo dell’Umbria
oltre l'orbita delle costellazioni gloriose, e verso la sorgente delle
aurore celesti, la patria delle anime grandi e luminose.
Trevi, marzo 1924.
SALVATORE MARINO MAZZARA.
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