Dopo l’espettative, e lunghe, e grevi, Vostra mercè,
Mosignor Contiloro, Son giunto pur, in carne, e in ossa a Trevi.
E pur ridotto al fin questo lavoro, Soscritta la patente BARBERINO,
Con quella man, ch’io riverente adoro.
Con quella man, ch’in vero
hà del divino, In conceder gratie, hora che siede Al Santo Papa
Urban così vicino.
Fra un pelago di cure non mai stanco, (Crepi
l’invidia) ei supera il valore Di due figli immortai d’Ostilio, e
d’Arco.
E converrà, ch’il Mondo un dì l’ardore, Mentre havrà
bianco e venerando il crine, Come hor l’ammira di sua età nel fiore.
A le prerogative pellegrine Torno di Trevi, che non son concesse
Ad altre terra in questo human confine.
Il Fondator di Trevi un
sito elesse Il più bello, il più ricco, il più giocando, Che in
questo Clima d’ogni intorno havesse.
Che dico questo Clima? In
tutto il Mondo Non potria trovarsi il più bel Cielo, E di Celesti
grazie il più fecondo.
Qui soverchio non è caldo, né gelo;
L’aria è sempre salubre, e temperata, Né può la nebbia qui nuocerci un
pelo.
S’altrove infuria la stagione armata D’horrido ghiaccio, e
con furor spaventa La sottoposta à lei fiacca brigata;
Qui non è
mai, che rigor troppo senta; E fra queste delitie, e casti amori,
Vive la gente ogn’hor lȉeta a contenta.
Questa da vari, e nobili
Scrittori Città si noma, Emiliano il Santo Connumerato vien tra’
suoi Pastori.
V’è la sua Chiesa, e di bellezze ha il vanto, Con
Priore, e Canonici à l’Altare, Di ricco, adorno, di pretioso ammanto.
Lontano poi, San Fabiano appare, Del titol pure di Priore adorno,
Con paramenta sontuose e rare.
V’è il ricco Monastero, ove
soggiorno Fanno i Monaci illustri Olivetani, Cinto d’alte muraglie
intorno intorno.
Quivi l’Abbate con le sacre mani Sostiene il
Pastorale, e il crin circonda Di mitra, intento a’ sacrosanti arcani.
La Chiesa v’è magnifica, e gioconda De’ Canonici pij Lateranensi,
Che d’ampie gratie in ogni tempo abbonda.
E qui, con quel decor,
che più conviensi, Ha il proprio Avello il Cardinal Valenti, Che
Trevi ornò di benefitij immensi.
Vi sono poscia al divin culto
intenti Luoghi infiniti d’ogni sesso, e a gara Lodano Iddio con
infocati accenti.
Han qui d’olio e di vino una fiumara, Che à
poco à poco si converte in oro, E doppioni ne cavano a migliara.
Copia non v’è d’infruttuoso alloro, Ma pien d’Olivi, e à Cerer
grato, e à Bacco, Un palmo di terren frutta un tesoro.
Nessuno à
Trevi mai di borsa è fiacco, E à la vendemmia grassa, & a la messe,
Titti di matti scudi empiono il sacco.
Venere quivi il proprio
seggio elesse, Ma Vener casta. E al dilicato aspetto Di belle Donne
il proprio volto impresse.
Qui Giove e Marte han posto il proprio
oggetto Ne gli huomini, valenti in toga, e in armi, E tutto il ricco
è qui, tutto il perfetto,
V’è una gran Torre, v’è di fini marmi
Una bella fontana, una piazzotta, Che in ogni tempo più abbondevol
parmi.
E quivi ogni otto dì corrono in frotta Le genti
forastiere à un bel mercato, E robba in quantità ci vien condotta.
Quindici Ville ha Trievi avventurato, E con suoi forti, e ben
munite mura Cinque Castelli in nobil sito, e grato.
Io mai non
finirei per aventura, Se volessi contar ciò, che ha di bello Questo
sito per arte, e per natura.
Ma taccio per non rompermi il
cervello, E mi rivolgo à Voi, Monsignor mio, Su le vostre ali
alzandomi bel bello.
Voi d’erudition sembraste un Rio, Quando il
gran BARBERIN Bibliotecario Vi diè sua vece, e il valor vostro aprio.
De la Camera poscia Commissario, Mostraste co’l valore anco la
fede, Che convien nel maneggiar l’Erario.
Quindi il Padron, di
gran giuditio herede, Segretario vi fè de la Consulta, Dove hor
n’andate innanzi di buon piede;
Ed io mi fermo; e pregovi, post
multa, Che del Padrone à la beneficenza Mi raccordiate, s’alcun mai
m’insulta, Scudo mi siate appresso SUA EMINENZA.
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