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Villa Fabbri a Trevi

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Pubblicato in "Diomede", Rivista di cultura e politica dell'Umbria, n. 15, 2010, pag.121
Le foto riprodotte nella rivsta in toni di grigio, sono state sostituite con le originali a colori.
Sono state aggiunte altre foto non pubblcate nell'articolo a stampa peresigenze tipograifche.
Si ringrazia per l'ospitalita la redazione della rivista, che ora ha sospeso la pubbblicazione, e si formulano voti per una sollecita ripresa.


Situata quasi a ridosso delle mura urbiche, sul lato sud di piazza Garibaldi, che è il sorprendente spazio pianeggiante quasi alla cima del colle, costituisce un felice raccordo tra il paesaggio urbano e la campagna circostante, con terrazze digradanti fino all’oliveto. Le sale con volte dipinte, ottimamente conservate, il parco con piante ornamentali ed esotiche e la posizione splendidamente panoramica con vista sulla valle sottostante fino a Spoleto, ne fanno uno dei luoghi più attraenti di Trevi.

La costruzione, giacente su un terreno in pendio, è disposta su tre livelli: il piano nobile è alla quota del suolo verso nord, (Foto n. X -File: FacciataNord.jpg) mentre dall’altro lato la facciata è più imponente poiché è a vista anche il piano sottostante che verso nord è

interrato. (Foto n. X -File: VistaSudEst.jpg)


É indicata con nomi diversi, derivanti dalle famiglie che l'hanno posseduta attraverso quattro secoli. Edificata da Gerolamo Fabbri nei primi anni del Seicento, passò poi ai Venturini e quindi agli Onofri e Roncalli di Foligno, ai Carrara o Carrara- Rodiani di Terni, ai conti della Porta di Roma. Nel 1891 fu acquistata dal vescovo Mons. Hais per il Collegio Boemo e negli anni Trenta passò al Collegio Etiopico che la detenne fino agli anni Ottanta. Essendo quindi frequentata da insegnanti e studenti etiopi e pertanto di pelle scura, venne chiamata anche villa dei Moretti. Dal 2008 viene stranamente usata la denominazione “Villa Fabri”, senza la doppia. Non più utilizzata dal 1986, fu successivamente rilevata da un privato e nel 1999 è stata acquisita dal Comune di Trevi. Dopo vari interventi di restauro dell’edificio e del parco dovrebbe diventare la sede della Rete regionale “Ville, Parchi e Giardini”. Il piazzale inferiore, con magnifica vista sulla valle, viene attualmente utilizzato per spettacoli all’aperto, usando come fondale naturale la bella fontana-ninfeo. (Foto n. X- file: FacciataSud.jpg)

2Nel 1594 Gerolamo Fabbri, di distinta famiglia originaria dall’omonimo castello e al culmine della sua carriera essendo capo notaro della Camera Apostolica pontificia, cominciò ad acquistare terreni per la costruzione della villa “per il piacere della sua vecchiaia, dei suoi discendenti e della comunità”, come recita una lapide recentemente riscoperta. L’impresa ebbe costi probabilmente superiori al previsto raggiungendo la ragguardevole cifra di quindicimila scudi, tanto che alla morte del Fabbri (1638) rimanevano ancora da estinguere pesanti debiti, saldati poi dai figli con la vendita della villa ai Venturini nel 1645. Nel 1603 l’opera era compiuta e sicuramente fu più ornata di quanto oggi possiamo osservare poiché il Natalucci, alla metà del settecento, ne lamentava il degrado, specialmente delle “muraglie” e delle fontane, ma comunque è stata sempre una dimora prestigiosa, tanto che nel 1713 vi fu ospitato il vescovo Lascaris, in occasione della visita pastorale. Nel 1597 il Fabbri aveva ottenuto dal comune la concessione dell’acqua, per gli usi domestici e per l’alimentazione delle cisterne e fontane , con derivazione dalla fonte pubblica della vicina piazza “del Lago” ove terminava l’acquedotto medievale, che fu per Trevi il principale rifornimento di acqua fino al 1926. Tale concessione era riservata alle comunità e a pochissime grandi famiglie.

I vari passaggi di proprietà sopra menzionati non hanno apportato al complesso apprezzabili modifiche fino al 1891, quando fu acquisito dal Collegio Boemo che operò vari interventi. L’edificio originale, per rispondere alle nuove esigenze del collegio, fu affiancato da un altro corpo che lo unisce al muro di cinta prospiciente le mura medievali di Trevi. L’aggiunta, che pure non disturba molto la vista dell’insieme, ha alterato la perfetta simmetria dell’originale che, attorniato dal verde, aveva due gradinate esterne di raccordo con il piazzale inferiore. L’intervento ha interrotto malamente la scalinata del lato ovest, sacrificando l’estetica alla funzionalità, peraltro migliorata con la costruzione di varie stanze e di un’ampia scala interna in sussidio della elegante ma scomodissima scaletta a chiocciola che termina nel caratteristico abbaino. Anche il parco fu modificato. Sicuramente esisteva un viale fiancheggiato da varie statue, probabilmente non più in buono stato, i cui resti giacquero a lungo seminterrati vicino alla casa del custode e ora forse definitivamente scomparsi. Al piano inferiore della nuova costruzione aggiunta dai Boemi, al livello del piazzale sud la cappella merita particolare attenzione per la ricca e particolarissima decorazione, opera di pittori stranieri seguaci della scuola del Beuron. (Foto n. X – File: Cappella1.jpg oppure Cappella2.jpg)

4Questo movimento, specificamente nato come espressione di arte sacra, dapprima ignorato anche in ambito ecclesiale, è oggi riconosciuto come precursore di movimenti artistici sorti tra Otto e Novecento. Fu fondato, nell’omonimo castello in Svevia sede di un antico monastero benedettino, dal monaco Don Desiderio, al secolo Peter Lenz, che a Roma aveva maturato l’idea di una nuova forma d’arte capace di esprimere con forza precisi contenuti cristiani. Seguaci di questo movimento operarono in molti Paesi europei e anche in America, mentre in Italia non si conoscono opere riconducibili alla scuola del Beuron, se non nella cripta dell’abbazia di Montecassino, dipinta nel 1913. Pertanto le opere della villa di Trevi si possono considerare come un’interessantissima ”isola artistica” assolutamente originale, Nella cappella si trova la firma del pittore “B.Čila, Praga, 1912” , fatto insolito per le regole della “scuola” (Foto n. X-File: Cappella3.jpg ) e sicuramente dello stesso autore era un tondo in una stanza al secondo piano, purtroppo perduto nei recenti restauri. Raffigurava una Madonna con Bambino, S. Giovanni Evangelista e S. Ruzenia Limanska ed era datato 1912. (Foto n. X- File: Madonna.jpg)

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 Le pitture esterne, ascrivibili alla stessa scuola, ma di due anni posteriori, sono di altra mano, forse del monaco benedettino Pantaleo Mayor . Sulla facciata nord, quella che si affaccia verso piazza Garibaldi, vi sono raffigurate vedute panoramiche di sei città della Boemia, ridotte ormai a disegni monocromi, ma negli spigoli in alto permangono labili tracce di colore azzurro che denotano una ben diversa impostazione cromatica originale. I nomi delle sei città, riportati nei cartigli sottostanti, sono: LITOMERICIVM (Litomérice) BRVNA (Brno), OLOMVCIVM (Olomouc), PRAGA, REGINA ERADECIVM (Hradec Králové) BOEMO BVDVICIVM (Ceské Budéjovice). Regina Eradecium era la sede della diocesi del vescovo Hais che acquistò la villa per donarla al Collegio Boemo, come si evince dalla lapide sopra la porta d’ingresso. La facciata sud mostra all’altezza dell’ultimo piano due fasce decorate. (Foto n. X- File. FacciataSudPart.jpg)

6Le decorazioni pittoriche all’interno sorprendono per la loro conservazione. Purtroppo non se ne conosce l’autore. Lo storico locale Durastante Natalucci le giudica di “finissima mano, creduta da alcuni del Zuccari e del Baroccio, da altri del Salimbene”. Un’iscrizione, che il Natalucci ritiene coeva alla costruzione della villa, ma poi successivamente modificata con l’apposizione dello stemma dei Venturini e l’aggiunta di diverse righe, forse anche in sostituzione di quelle originali , attribuisce la decorazione all’epoca del primo proprietario ma alcuni particolari, quali i vari stemmi appartenenti a famiglie che si sono succedute nel possesso della villa, sono stati successivamente ridipinti come appare chiaramente nel salone ove alcune insegne non coprono completamente quelle raffigurate in origine. Anche la scena centrale del soffitto dell’atrio, che secondo alcuni autori rappresenta la Gloria, potrebbe essere stata sostituita al passaggio della proprietà ai Venturini, in quanto il motto sottostante “invidiam calco et fortunam supero” si adatta perfettamente allo stemma di questa famiglia nel quale campeggia un piede posato sopra un globo. Anche l’ingresso all’atrio dovrebbe essere stato modificato rispetto all’originale, forse completamente aperto sul piazzale, poiché i due archi laterali all’ingresso attuale sembrano tamponati successivamente alla costruzione primitiva. Nell’atrio, oltre alla scena citata, sono raffigurate le allegorie delle quattro stagioni con i relativi segni zodiacali, sorprendenti scenette di vari giochi di bambini e nelle lunette graziosi paesaggi di maniera. La sala a destra di chi entra illustra gli episodi biblici del profeta Daniele. Al centro: il Convito di Baldassarre (Foto n. X- file: Banchetto.jpg); ai lati: l’Impostura dei sacerdoti di Belo, il Dragone adorato dai Babilonesi, Daniele nella fossa dei leoni, i leoni che sbranano i suoi persecutori. In calce alla pittura centrale e in cartigli sopra i quadri laterali, sono riportati i versetti biblici a cui le scene si riferiscono. Nelle vele agli spigoli figure allegoriche che rappresentano la Religione, la Pazienza, l’Astinenza e la Perseveranza. Quest’ultima scena è stata recentemente danneggiata da infiltrazioni d’acqua.

Nella stanza successiva, che si affaccia a sud verso la valle, sono raffigurate al centro la Religione (speculvm principvm) e ai lati la Letteratura, il Matrimonio, l’Arte Militare e la Caccia.(Foto n. X- File: Religione.JPG). Nei pennacchi agli spigoli, entro ovali, puttini che giocano con il mazzafrusto a tre teste e la stella. (Foto n. X- File: Religione2.JPG), elementi questi che figurano nello stemma dei Pallotti di Caldarola, famiglia d’origine della consorte di Girolamo Fabbri. È evidente pertanto che questa fosse la stanza dedicata alla signora. Nel salone centrale colpisce immediatamente l’immagine di un personaggio a figura intera che si affaccia da una porta dipinta.(Foto n. X- File: Ritratto.jpg) Alcuni vi hanno voluto vedere l’autoritratto del pittore, ma sembra più probabile che vi sia raffigurato il proprietario Girolamo Fabbri che si affaccia ad accogliere gli ospiti.

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La decorazione del soffitto è ricchissima. Al centro della volta (Foto n. X file: Salone.jpg ) è raffigurato il giudizio di Salomone e ai lati il taglio dei capelli di Sansone, Susanna e i vecchioni, Giuseppe e la moglie di Putifarre e David che osserva Betsabea al bagno. Nelle vele sono dipinti quattro stemmi cardinalizi e gli stemmi delle famiglie che si sono succedute nella proprietà della villa. Negli stemmi dei cardinali è ripetuto tre volte lo stemma dei Barberini, attribuibile al card. Antonio (creato nel 1624 dal papa Urbano VIII suo fratello e morto nel 1646), il quarto è attribuibile al card Giovanni Evangelista Pallotti (cr. 1587 †1620), arcivescovo di Cosenza, zio di Camilla, moglie di Girolamo Fabbri. Le api degli stemmi dei Barberini sono chiaramente ridisegnate sopra ad altri stemmi preesistenti. In uno si intravede metà dello stemma dei Medici sottostante e l’altra metà illeggibile. Probabilmente vi erano ritratte le insegne di un cardinale creato da papa Medici. Più in basso degli stemmi dei cardinali si vedono blasoni più piccoli delle famiglie Venturini-Jacobilli, Carrara-Venturini, Carrara–Della Porta e Carrara–Rodiani, tutti logicamente posteriori alla decorazione originale. Ai lati di ogni coppia di stemmi sono dipinte le allegorie della Nobiltà e Prudenza, Pace e Amicizia, Concordia e Tranquillità, Magnificenza e Liberalità. La Magnificenza sostiene con la sinistra un pannello ove è disegnata la pianta di un edificio che può identificarsi con la rinascimentale villa di Poggioreale di Giuliano da Maiano, rilevata e pubblicata dal Serlio.

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 Nel soffitto della sala successiva vi sono raffigurati cinque santi eremiti con lunghe didascalie inneggianti alle loro opere e nei pennacchi quattro grandi stemmi cardinalizi, ciascuno tra due figure allegoriche. Al centro della volta è raffigurato Paolo eremita (Foto n. X – file: SPaolo.jpg ) e ai lati Girolamo, Onofrio Macario e Antonio. Tra le allegorie della Parsimonia e della Ricchezza è raffigurato lo stemma del card Francesco Mantica (creato 1596, †1614), tra la Carità e la Vigilanza lo stemma del card. Alfonso Visconti (cr. 1599, †1608) tra la Fedeltà e l’Affabilità lo stemma del card Erminio Valenti di Trevi (cr. 1604 †1618) e infine tra la Continenza e la Verginità lo stemma del card. Camillo Borghese (cr. 1596, eletto papa con il nome di Paolo V nel 1605). Considerate le date suddette il periodo in cui tutti i prelati in esame sono stati investiti contemporaneamente della dignità cardinalizia si colloca tra la nomina del Valenti (giugno 1604) e l’elezione al papato del Borghese (maggio 1605). Pertanto l’esecuzione delle pitture di questa sala dovrebbe collocarsi in tale arco di tempo, peraltro perfettamente in accordo con quanto rilevabile da altre fonti. Purtroppo la pittura di San Girolamo è stata molto danneggiata dall’umidità dovuta alla perdita di un bagno nel piano superiore, verificatasi presumibilmente dopo il 1950.

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La sala successiva, contigua all’atrio, è dedicata alla santità tutta al femminile. Al centro della volta campeggia un grande ovale con le quattro sante in gloria, ai lati scene della vita di S. Maria Egiziaca, S. Sofronia Tarentina, S. Maria Maddalena e S. Dimpna (Foto n. X- File: 4Sante.JPG). Al bordo inferiore di ciascuna immagine, cartigli recano estese didascalie in caratteri capitali su quattro righe inneggianti alle gesta delle protagoniste. In corrispondenza degli spigoli sono raffigurate le allegorie dell’Obbedienza, della Povertà, della Castità e della Serenità (Contemptus mundi). Forse in origine questa sala fungeva da cappella.
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Interessante è la decorazione del soffitto di un piccolo locale che prospetta a sud. (Foto n. X – File: Studio.jpg) Probabilmente in origine era uno studiolo, poi destinato ad uso diverso, ora ridotto a servizio igienico. Al centro della volta, in un ovale, il dipinto seicentesco ritrae S. Francesco che riceve le stimmate, mentre ai lati sono raffigurati San Venceslao, stemmi con aquila coronata e il leone di Boemia, opere indiscutibili dei pittori della cappella o delle pareti esterne. Certamente nel secondo decennio del Novecento i Boemi fecero restaurare le decorazioni antiche, sia deperite per l’ingiuria del tempo, sia danneggiate da vari interventi di consolidamento resisi necessari per i danni dei terremoti nel corso dei secoli. Nelle pareti esterne infatti sono visibili tre serie di tiranti o “catene”, apposte in epoche diverse, la cui posa in opera non può essere stata completamente innocua per le decorazioni interne. Comunque tali interventi, evidentemente ben eseguiti, ci permettono di apprezzare e godere perfettamente la decorazione della villa. Ora non manca che il restauro delle pitture esterne per il recupero totale di questo pregevole edificio.
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