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Trevi: descrizione del Leopardi

 

Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 - Napoli, 1837) nel 3° canto del poemetto satirico politico "Paralipomeni della Batracomiomachia".1 , per descrivere il castello di Topaia fa una lunghissima similitudine con l’abitato di Trevi. Sembra che sia l'unica descrizione di una città in tutta la sua opera.
Si riportano integralmente le stanze 7, 8 e 9 , non facilmente reperibili essendo parte di un’opera meno nota del poeta recanatese.

Per comodità del lettore si è tentata una parafrasi, che per la verità è un po' difficile poiché i versi 3 e 4 dell’ottava stanza sono considerati "particolarmente oscuri" da critici specializzati (Boldrini)..2

Il testo "virgolettato corsivo" è ripreso dalla recente edizione critica del bicentenario..3

 

 

Come chi d’Appennin varcato il dorso
Presso Fuligno, per la culta valle
Cui rompe il monte di Spoleto il corso,
prende l’aperto e dilettoso calle,
se il guardo lieto in su la manca scorso
leva d’un sasso alle scoscese spalle,
bianco, nudato d’ogni fior, d’ogni erba,
vede cosa onde poi memoria serba
Come colui che, valicati gli Appennini presso Foligno, prende la strada spaziosa e piacevole attraverso la valle intensamente coltivata che termina con il monte di Spoleto, "se dopo aver fatto spaziare lietamente lo sguardo sul lato sinistro della valle solleva gli occhi al pendio scosceso di un monte bianco (del colore della nuda pietra) e spoglio di qualsiasi vegetazione", vede una cosa che poi ricorderà:
di Trevi la città, che con iscena
d’aerei tetti la ventosa cima
tien sì che a cerchio con l’estrema schiena
degli estremi edifizi il pié s’adima;
pur siede in vista limpida e serena
e quasi incanto il viator l’estima,
brillan templi e palagi al chiaro giorno
e sfavillan finestre intorno intorno;
la città di Trevi, che con "uno scenario" di tetti "librati nell’aria, occupa la ventosa cima dell'altura in modo tale che un precipizio si apre (il piede sprofonda) dinanzi al cerchio formato dalla parte esterna degli edifici più lontani dal centro", tuttavia giace (la città) luminosa e serena a vedersi tanto che il viandante la considera quasi un incantesimo. Templi e palazzi sono inondati della chiara luce del giorno e sfavillan finestre intorno intorno;.4

 

cotal, ma privo del diurno lume
veduto avreste quel di ch’io favello,
del pulito macigno in sul cacume
fondato solidissimo castello,
ch’al margine affacciato oltre il costume
quasi precipitar parea con quello.
Da un lato sol per un’angusta via
Con ansia e con sudor vi si salìa.
come questo, ma privo della luce del giorno avreste veduto quello di cui parlo: un solidissimo castello costruito sul cocuzzolo di una roccia "levigata", castello che oltremodo prominente dal ciglio, quasi sembrava stesse precipitare con esso.
Vi si poteva salire soltanto da un versante "con affanno" e con fatica percorrendo una strada malagevole.

 

"Lo spettacolo che qui il poeta descrive e che tante volte avrà visto, l’osservò certamente nel suo primo viaggio da Recanati a Roma: la sera del 20 novembre 1822 scrisse al padre annunciandogli il suo arrivo a Spoleto: era passato perciò sotto Trevi nel pomeriggio".5

La più moderna e completa critica questo brano, altrimenti non molto conosciuto, si può trovare in

Felici, Lucio, La luna nel cortile, capitoli leopardiani,Rubbettino, 2006, pagg.106-109

attualmente (2007) reperibile in  http://books.google.it/books?id=7eJv ... =6#PPA111,M1

 

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Aggiornamento: 27 aprile 2017.
Note
1) =Battaglia tra le rane e i topi.

2) Leopardi, Giacomo, Paralipomeni della Batracomiomachia; a cura di Eugenio Boldrini, Torino, Loescher, 1970
3) Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Milano, 1997.

4) Non è possibile la parafrasi di quest’ultimo verso, peraltro comprensibilissimo a tutti, senza profanarne l’incanto.

5) Ettore Allodoli in nota ai Paralipomeni, Torino, Utet, 1927, pag. 36.