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Proverbi Umbri raccolti da Oreste Grifoni

Prefazione

 

(Prof. Oreste Grifoni, Proverbi Umbri, L'Appennino, Foligno, 1943)

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Proverbi Umbri di Oreste Grifoni da Trevi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I proverbi sono la sapienza del genere umano
Manzoni- I Promessi Sposi, c.5)

AL

GR. UFF. DOTT. COLOMBO CORNELI

CHE CHIAMATO DAL GOVERNO NAZIONALE FASCISTA

AD EMINENTI E GRAVI UFFICI

NELLA SUA COLTA PERUGIA

DA COSTANTI E LUMINOSE PROVE

DI ALTA INTELLIGENZA, DI ZELO, DI ESEMPLARE MODESTIA

DEDICA

IL SUO ANTICO INSEGNANTE

CON AMMIRAZIONE, PLAUSO, AFFETTO

QUESTO VOLUME

ESPRESSIONE PIENA E SINCERA

DELL'ANIMA COSTUMATA E SAGACE

DELLA GENTE UMBRA

 

 

Spello, 14 gennaio 1943-XXI

 

Nota:Tra parentesi acute < > è riportato il numero della pagina.
Nella trascrizione sono stati corretti gli evidenti errori materiali e gli accenti secondo la grafia moderna.

 

<V>

 

 

 

 

 

(1) Lo Shakespeare pose proverbi per titoli di due delle sue migliori commedie: «Measure for measure» (Il male viene dal male) e «All is well that ends well» (Tutto va bene se finisce bene).- Il nostro Ferdinando Martini intitolo una sua commedia: «Dio non paga il sabato»

 

Non alta, ma dignitosa o interessante, è la materia di studio del mio volume: una raccolta di proverbi, che mi è stato possibile fare, tenendo dietro per lunghi anni, al linguaggio del nostro popolo. Ho avuto dapprima vaghezza di studiare, e con qualche consenso, la gente umbra nei canti religiosi, nei canti di amore, nelle ninne-nanne, poi sono stato preso dal desiderio assillante di conoscerla anche noi proverbi, nelle massime generali e nelle sentenze. E dirò subito che sono rimasto soddisfatto del mio lavoro: ho trovato in questa parte di sapienza popolare, tante bellezze, tanti pratici o utili insegnamenti, tanti motivi umoristici, quanti non ne avevo supposti, neppure por la metà, all'inizio delle mie pazienti e laboriose ricerche. Eppure tale studio di sapienza popolare sembra agli occhi di non pochi una perdita di tempo, uno spreco, quasi direi, di forze mentali. Ma non è così. Basterà a persuaderli del contrario il ricordo dogli uomini illustri che se ne mostrarono entusiasti, che se ne servirono nelle loro produzioni letterarie (1). Così sappiamo che Aristotile, come attesta Erasmo, raccolse proverbi; che Salomone, il re sapiente, ce ne lasciò una raccolta di una soavità

<VI>

 

spirituale senza pari. Il Divin Maestro, più tardi, se ne servì con evidente opportunità per istruire ed educare le folle che lo seguivano. Egli diceva : «Non vi è discepolo sopra il maestro» ; «Non ha bisogno del medico il sano, ma il malato» ; «Nessuno è profeta nella sua patria» ; «Uno semina e l'altro raccoglie ». E dopo Gesù Cristo, tanti, tantissimi tennero i proverbi in sommo onore : lo Shakespeare, il Cervantes, il Rabelais, il Montaigne e innumerevoli altri tra gli stranieri; il Tomasseo, il Giusti, il Fanfani, il Gotti, il Capponi, il Castagna, lo Strafforello,. il Finamore tra gl' Italiani di questi ultimi tempi.

Il Manzoni, nel 5° capitolo dei Promessi Sposi, dice : «I proverbi sono la sapienza del genere umano »; e il Giusti così ne scriveva a lui stesso: «Mi duole di non aver meco una filza di proverbi che raccolgo da cinque o sei anni per le strade e per le botteghe, e nei quali avreste delle vere gemme di lingua e di sapienza pratica, di quella sapienza che non figura tra le monete d'oro, ma serve mirabilmente per le spese minute della vita. »

Il Tomasseo poi affermava: «Se tutti si potessero raccogliere e sotto certi capi ordinare i proverbi italiani, i proverbi di ogni popolo, di ogni età con le varianti di voci, d'immagini e di concetto, questo, dopo la Bibbia, sarebbe il libro più gravido di pensieri ».

I proverbi, Inoltre, come i canti religiosi e di amore, come lo studio delle costumanze, ci rivelano i caratteri etnici di un popolo : il suo speciale modo di vedere, di sentire e di operare. Ora la mia raccolta ha larga dovizia di proverbi che rivelano bene il popolo umbro, e che hanno elementi di pensiero e di lingua strettamente umbri.

Ve ne sono speciali, caratteristici, che riguardano la vita e l'economia domestica, la donna, il matrimonio, l'educazione della prole, le amicizie, le malattie, i rimedi, l'agricoltura, le superstizioni, l'indole di

<VII>

 
 

città e paesi e cento altri obbietti della vita pubblica e privata, tutti interessanti e dilettevoli. Accanto al sentimento morale vi e, in essi, il sale attico, la derisione pungente, la critica sensata, l'osservazione opportuna e profonda e perfino l'etica e la teologia, che guidano alle verita di ordine soprannaturale.

Questi sono i miei proverbi pazientemente raccolti, in particolar modo, nell'Umbria centrale e meridionale.

Quasi tutti sono in versi, in prevalenza endecasillabi abbinati o slegati e, forse, possono considerarsi come la parte didascalica della nostra poesia popolare.

Ma mi dira alcuno: I proverbi che tu hai raccolto dal labbro del popolo umbro, sono veramente di origine umbra?

Mi affretto a rispondere che mancano elementi certi, assoluti di giudizio nei riguardi di non pochi di essi. Le comparazioni fortunate che io ho talora formate tra proverbi umbri e quelli greci, ebraici, latini o di lingue moderne, stanno ad indicare un fondo comune, che rivela, di certo, la monogenesi dei proverbi, anteriore alla dispersione delle razze dalle regioni dell'Asia.

A parer mio, dopo l'avvenimento del diluvio, vi fu un periodo primordiale di proverbi che, entrati nei vari parlari delle genti, poterono poi ovunque diffondersi.

L'uomo che, dopo il diluvio, rimaneva ancor longevo ed arrivava a vedere centinaia di primavere o tante primavere quante certo non sogliono godersi, neppure per la meta, ai nostri giorni, aveva il tempo bastevole per osservare bene i fenomeni naturali, le evoluzioni delle stagioni, i fatti della vita domestica, morale e civile dell'individuo, della famiglia e dello Stato, i prodigi della religione e, in base alle diuturne osservazioni e alle sue ripetute esperienze, fissava con certezza ed esattezza

<VIII>

 

proverbi, massime, dettati, ecc., che accompagnavano poi le razze, le quali dall'Asia andavano a stanziarsi nelle regioni degli altri continenti.

E qui mi viene acconcio il ricordo di cio che tempo fa mi diceva, in riguardo alla formazione dei proverbi, un'umile vecchietta di campagna, la quale, casualmente, ma opportunamente, asseriva: « Pe' 'gni proverbiu c'e vulutu 'n seculu ». Sensata osservazione che apre l'adito al ragionamento da me qui sopra formato! E che non poca della mia materia raccolta abbia origine assai remota e derivi, con ogni probabilita, dalle eta patriarcali, lo fanno credere quei proverbi, che, comuni a molti popoli, si riallacciano ad antichissimi proverbi latini o greci o ebraici. Essi, più che da altro, traggono il pensiero dalla vita primitiva, quale solevasi menare nei boschi o nei campi, ovvero filosofeggiano sull'idea della divinita, o sono puramente moraleggianti, quando non diano precetti o ammaestramenti per curare, mantenere o rafforzare la salute del corpo. Molti, anzi, degli antichi proverbi dovevano essere, più che altro, vere ricette : la primitiva ed immanchevole terapeutica degli individui, delle famiglie, delle plebi raccolte.

Io ne porterò, come saggio, alcuni con pochi dei tanti paralleli che si potrebbero stabilire:

 

1.

   - Quanno l'arbiru casca a terra, tutti curru' a fa' le lena.
Lat.    - Dejecta quivis arbore ligna legit.
Franc.    - Quand un arbre est tombé tout le monde court aux branches.
Ingl.    - Quando l'albero è caduto, tutti corrono con la scure in mano.
Ted.    - Quando la quercia è atterrata, tutti corrono a far legna.
Grec.

 

   - Caduta la quercia, ognuno raccoglie legna.

 

<IX>

2.

   

 - Co' 'n'accettata 'n se taja n'arbiru.

Lat.

   - Arbor per primum quaevis non corruit ictum.
Franc.    - On n'abat pas l'arbre au premier coup de hache.
Spagn.    - De un solo golpe no se derrueca un roble.
Port.    - Un solo golpe ne derriba a un roble.
Ted.    - Al primo colpo non cade l'albero.
Ingl.    - Una quercia non è abbattuta da un taglio.
Grec.

 

   - Un albero vigoroso con più colpi viene abbattuto.

 

3.

   - Un arbiru cattiu 'n po da' li frutti boni.
 Seneca    - Non potest arbor mala fructus bonos facere.
Vang.    - Non potest arbor mala bonos fructus facere
     - Neque arbor bona malos fructus facere.
Franc.    - Un bon arbre porte de bons fruits et un mauvais arbre de mauvais fruits.
Spagn.
 
   - No puede el arbol bueno llevar malos frutos, ni el arbolmalo Ilevar
     buenos frutos.
Dan.    - Un albero guasto non può dar buoni frutti.
Ted.
 
   - Un albero cattivo non può dare un frutto buono e
    l'albero si giudica secondo i frutti.
Ingl.

 

   - Un albero cattivo non può dare buoni frutti.

 

4.

   - Non è tutt'oru quello ch'ariluce.
Lat.    - Ne credas aurum quidquid resplendet ut aurum.
Franc.    - Tout ce qui reluit n'est pas or.
Spagn.    - No es todo oro lo que reluce.
Port.    - Nom tudo o que luz he ouro.
Ingl.     - Non è tutt'oro quello che risplende
<X>                          Ted.
 

 

   - Non è tutt'oro quello che luccica.
  (Questo proverbio è quasi comune a tutti i popoli).

 

5.

   - Aiutete che Dio t'aiuta.
Lat.    - Dii facientes adiuvant.
Franc.    - Aide-toi, Dieu t'aidera.
Spagn.    - Dios ayuda a quien se ayuda.  
Ingl.    - Iddio aiuta chi si aiuta.
Ted.    - Aiutati che Dio ti aiuta.
Grec.

 

   - Anche Iddio viene per certo in aiuto al sofferente.

 

6.

   - Come se vive se more: quale la vita, tale la morte.
Lat.    - Qualis vita, finis ita.
Franc.   - Comme l'on vit 1'on meurt. Spagn.- Come se vive se muore.
Ingl.    - Come un uomo vive, così morra.
Ted.
 
   - Come si vive così si muore; e come un albero cade così giacerà.
 

7.

   - Riposu e dieta 'gni male acqueta.
Lat.    - Multi morbi quiete et abstinentis eurantur.
     - Si deficiant medici, medici fiant haec tria : mens tibi hilaris, quies,
   moderata diaeta.
Spagn.
 
   -  Los méjores medicos son : el dottor Allegria, el doctor Dieta,
   el doctor Tranquillidad
Ing 1.    - Dottor Acqua, dottor Dieta. dottor Quiete
Ted.    - Gioia, moderazione e pace chiudon la porta al medico.

<XI>

8.

   

 - L'amaru tienlu caru.

Lat.
 
   - Amarum sanum - e
 -  Saepe tulit lassis succus amarus opem.
Franc.    - Tiens cher ce qui est amer.
Ingl.    - Le pillole amare possono avere dolce effetto.
Ted.    - Amaro in bocca fa bene allo stomaco.
Cin.

 

   - I buoni rimedi sono amari alla bocca, ma cacciano la malattia.

 

9.

   - Latte e vinu velenu finu.
Lat.    - Lac post vinum, venenum.
Franc.    - Le lait avec le vin se tourne en venin.
Spagn.    - La leche có el vino tornase venino (XVI sec.)
Ingl.    - Latte con vino è veleno fino.
Ted.

 

   - Astienti dal bere latte dopo il vino.

 

10

   - Lu vinu è lo latte de li vecchi.
Lat.    - Vinum lac senum.
Franc.    - Le vin est le lait des vieillards.
 Ingl.
 
 

 - Il vino è il latte dei vecchi - e
 - Il vino rende dissolute le vecchie.

Ted.    - Il buon vino è il latte dei vecchi.
 Spagn.

 

   - El vino es la leche de los viejos.

 

    Or quei proverbi prototipi, greci, latini, ebraici da cui emanano proverbi uguali o quasi uguali e per concetto e per forma e che sono attualmente comuni a molti popoli, sono forse l'eco di altri anteriori, che per lungo tramite portavano all'evo primitivo gia indicato della materia
<XII>    

(1) «La maggior parte dei proverbi ci fu tramandata dalla più remota antichità, sia oralmente, sia attraverso gli scrittori primitivi che li posero in comunicazione vivente col popolo. I greci li ebbero, probabilmente dal vetusto Oriente e li trasmisero ai Romani, dai quali passarono in tutte le lingue del mondo occidentale, specie per opera di Erasmo che nel suo «Adagiorum collectanea» tradusse in basso latino molti proverbi greci e latini, che poi furono diffusi per tutta l'Europa e naturalizzati dalle varie nazioni ». A. ARTHABER: Dizionario comparato di proverbi ecc. - Milano, Hoepli, 1929.

(2) «Monogenesi del linguaggio »

 

 

da me raccolta (1). Anzi, lasciando da un canto i timidi forse, dirò che, con ogni probabilità, deve essere così. Se la filologia, infatti, giunge razionalmente

all'affermazione - per opera precipua di Alfredo Trombetta (2) - che tutte le lingue hanno avuto un'origine comune, questa origine comune, credo io, devono avere avuta anche i proverbi che di ogni lingua sono parte integrante.

Accanto a questo raggruppamento di materia paesana la cui origine, ripeto, va riferita quasi con certezza al periodo anteriore all'emigrazione delle razze dall'Asia, ve ne è uno che è sostanzialmente umbro, vuoi per i concetti e per le immagini, vuoi per la lingua vernacola. Io alludo precisamente a quei proverbi o modi proverbiali, compresi nel 45° raggruppamento della Raccolta, che mettendo in evidenza e caratterizzando i nostri luoghi, hanno, di conseguenza, riferimenti diretti con noi.

Ed ecco che città, paesi, villaggi dell'Umbria sfilano nella silloge, sotto i nostri occhi, con l'impronta di un carattere loro proprio, di una qualifica indovinata e incancellabile, quando essa non sia stata dettata da semplice umorismo, da folle animosità di campanilismo e da cieco sentimento medioevale di lotta.

Così Spiellu più pioe e più è bellu, perché una volta, specialmente, le sue vie, per la spazzatura e l'igiene, attendevano assai spesso il favore di Giove Pluvio.

 

<XIII>  

Li conti assisani e li marchesi pirugini se vennono a tazze come li lupini, per il fatto che le loro città contano uno strabocchevole numero di questi titolati, i quali poi non sono sempre all'altezza del loro blasone.

Li mijori de Janu so' li più tristi de lu munnu, perché si distinguono per un acre spirito d'imposizione, che si appalesa a meraviglia nel giuoco : se perdono non pagano, se vincono esigono senz'altro la quota pattuita: «Semo de Janu: se vincemo li volemo; se perdemo nun pagamo, e perciò de Janu semo».

E poi vi sono proverbi, o forme proverbiali, che celebrano Acquasparta per le belle campane, Montecastrilli per le sette bellezze, Farnetta per le donne pompose. Ed altri ancora che tacciano, per esempio, di egoismo quei di Massamartana, di perfidia i Casciani, di tirchieria i Sangeminesi, di leggerezza e di ghiottoneria gli Spoletini, di melensaggine quei di Umbertide, di Montone, di Collesecco, ecc., ecc.

Eccone qualche saggio;

 

- N'te fida' del perfidu Cascianu, la man te stregne ed ha la serpe 'n manu.

 

- Norcia vitusta, fatta a core, ladra de drentu, bella de fore.

 

- Quilli de Colleseccu so' tre a mugne 'n beccu

   chi lo mugne, chi lo téne e chi guarda come vene.

 

- Poviri Quadrellani senz'ingegnu, non sonnu (sanno)

   quann'e notte e quann'e giornu : ció lu rilogio ch'e fattu de legnu.

 

- A Montecastrilli semo tutti donne, a la guerra ci annamo senza l'arme,

   semo più forti nui che le colonne

 

<XIV>  

Siamo, in una parola, in materia prettamente umbra, fresca, piacevole, interessante, che si legge d'un fiato, col sorriso sulle labbra, e che, forse, trae i suoi fieri e bizzarri motivi dai tempi medioevali, quando le nostre città ed i nostri paesi si combattevano a vicenda con le armi, e, ove non arrivavano con le armi, arrivavano con la parola acre, mordace, la quale spargeva il dispetto, il ridicolo e lo scorno sulle genti avversarie, sui loro stessi fratelli. Il Manzoni, nel «Conte di Carmagnola », cantava a proposito:

 

Là pendenti dal labbro materno

vedi i figli che imparano intenti

a distinguer con nomi di scherno

quei che andranno ad uccidere un dì.

 

Vi sono poi altri proverbi, estranei a questo gruppo, i quali, e pel colorito e per la fede evidente di nascita, devono anch'essi ritenersi prettamente umbri, Sono proverbi che accennano a fatti o esperienze metereologiche locali:

- Tristu quill'uccellu che passa tra Fulignu e Spellu.

 

- Sant'Andrea (30 nov.) for de li tetti pe' vede' le su bellezze.

   San Costanzo (30 genn.) for de le mura pe' vede' la su virzura.

 

- La Pasqua Bifania 'gni festa se porta via;

   vene San Binidittu  (21 marzo) ce ne porta 'n sacchittu,

   vene San Filiciano (24 gennaio) ce ne porta 'n saccu sanu.

 

- Quannu Pinninu se mette '1 mantellu,

   artorna a casa e crompa l'ombrellu.

 

- Quannu Pinninu se mette le brache,

   vinni il mantello e crompa le crape.

 

<XV>  

- Quanno la nebbia è a Sant'Anna (presso Umbertide),

   l'acqua sciampanna (diluvia).

 

- Se la nebbia è a Montacuto (ibidem) o piove o ha piovutu;

 

ovvero che, sebbene estranei ai fatti e all'esperienza riguardanti i nostri paesi, vivono nell' Umbria e non si rinvengono, che io sappia, in altre raccolte di proverbi regionali. Eccone alcuni

 

- E meju 'n testimoniu de viduta, che dui de sintita.

 

- Core che non dole dallo a chi lo vole.

 

- P'anna' carceratu le chiâe stô appiccate;

   p'ariscappa' so' cascate ju lu puzzu.

 

- L'onore é come lu vietru: 'gni fiatu l'appanna.

 

- Le cose fuste piaciu' a Dio e a le persone de lu munnu.

 

- Lu munnu è fattu pe' li brâi e li minchiuni se lo godu'.

 

- Co' la pelle dell'asinu nun convêne mai ammantasse.

 

- Chi non preme mancu acciacca.

 

- Orate frate: se l'occhiu vêe, gargallozzu pate (soffre)

 

- Li fiji de le porche non chiuduno mai le porte.

 

- 'Na botte de vinu bonu e 'n'ome brâu durano pocu.

 

- Dittu pe' dittu, 'n se 'mpicca mai niciunu.

 

- Donna superba s'abbassa fina terra.

 

- Lu matrimoniu senza fiji è come 'n arbiru senza frutti.

 

- Quanno l'agnellu nasce, lu pratu è gia fiuritu.

 

- Non tutti li contadini stô a zappa' la terra.

 

-    Bonu pane, bonu vinu, bona gente, non dura gniente.

 

<XVI>  

-   La donna che vol' esse ben mantenuta

    piji lu vecchiu co ' la barba canuta.

 

 -   Pe' peja moje ce vole : lu rizzante (il sacco del grano),

    lu pennente (la pacca del lardo), lu pisciante (la botte del vino).

 

Or dirò subito, ma di volo, che esse, nella generalità, contengono concetti nuove, geniali, dolcemente umoristici, i quali s'innalzano di molto sull'umile materia di tanti altri proverbi regionali, se si eccettuano i toscani, e lasciano a volte colpito lo spirito. Io non prodigo loro lodi perché umbro e ammiratore entusiasta dell'anima del nostro popolo, ma perché è mia opinione che i medesimi concetti didascalici difficilmente si potrebbero significare con creazioni, ugualmente felici, da persone di sapere, solite ad esprimere le loro idee col sussidio di libri e tra le tranquille pareti dei loro studi.

E passerò ora all'ultima categoria di proverbi. Sono molti, svariatissimi nel genere, concettosi e morali e quindi valevoli tutti per lo scopo educativo, istruttivo e ricreativo pel quale sono stati formati. Sono umbri di origine? Sono d'importazione toscana? Ecco le domande che sento rivolgermi. Vero è che molti di essi hanno un qualche cosa di affine e per concetto e per veste letteraria coi toscani, però se è anche vero che il genio creativo dei proverbi non è dote particolare di una sola regione, ma di tutte, e che la nostra lingua è letterariamente buona è da ammettere che non poche de essi siano proprio nostri e che nell'Umbria vi possano essere proverbi di origine toscana, come nella Toscana proverbi de origine umbra e per il contatto delle due regioni e per la trasmigrazione dall'una all'altra gente e per le relazioni tra esse esistenti di commerci, di industrie, di interessi particolari. Comunque, dato che alcuni o molti di essi emanino veramente dalla Toscana, sono

<XVII>  

sempre meritevoli di osservazione le varianti di concetto e di lingua che presentano e che talora le rendono superiori ai tipi originari.

Ciò è bastevole per asserire che anche questa categoria di proverbi è ormai umbra, per aver assunto il colorito di pensiero e di forma della terra che li ha accolti e che da secoli li usa.

Brevi paralleli poi per alcune di esse coi toscani proveranno il mio asserimento e dimostreranno che talora questi proverbi, per ciò che riguarda il concetto e quella semplicità, tutta propria del popolo, si elevano, in una maniera evidente, sui toscani da cui, come non pochi credono, originarono:

 

T.   Una campana fa un comune.

U.  'Na campana basta a centu frati.

 

T.   Dio fa gli sciocchi e loro s'accompagnano.

U.  Gisù Cristu adocchia adocchia, po' le fa e po' l'accoppia.

 

T.   Chi ne ha cento l'alloga, chi ne ha una l'affoga.

U.  Chi cià  'n branco de fije le marita,

      chi ce n'ha una sola la straripa.

 

T.  Chi non mette l'ago mette il capo.

U.  Chi non mette lu puntu mette la pezza.

 

T.   Misura tre volte e taja una.

U.  Cento misure e un tajo.

 

T .  Quando il grano è nei campi è di Dio e dei Santi.

U.   La roba in campagna è di Dio e della canaja.

 

T.     Chi dell' altrui se veste, ben gli sta, ma tosto gli esce.

U.  Che d'antri se veste presto se spoja.

 

<XVIII>  

T.     Roba di chiesa, roba di stola, presto la viene, presto la vola.

U.  La roba della stola, vene lu diavulu e se la porta.

T.     I soldati del Papa, otto a cavare una rapa,

senza il sergente non son buoni a niente.

U.  Li soldati de lu Papa 'n so' boni a caccia 'na rapa,

li soldati de lu Re 'n so' boni a sta' vede'.

T.    Capo senza lingua non vale una stringa.

U.  Capoccia che non parla è cucuzza.

T.     Niente e buono per gli occhi.

U.    Gniente fa bene pe' l'occhi e male pe' li denti.

T.  Ragazza che dura non perde ventura.

A zitella che aspetta non manca richiesta.

Non c'e sabato senza sole. non c'e donna senza amore.

U.  'N c'e sabbitu senza sole, 'n c'e donna senz'amore,

'n c'e monica senza baffi, n' c'e gattu che non sgraffi.

 

E con questi riscontri mi pare di aver provato abbastanza che anche l'ultima categoria di proverbi e parte ormai integrante della grande famiglia dei proverbi umbri; famiglia che ha larga dovizia di concetti nobilissimi, quanti sa crearne la mente elevata, sagace e briosa del nostro popolo. Vi si rinvengono profonde massime informate ai princìpi più sani della morale e della religione, consigli e avvertimenti che sono il prodotto di lunghe e provate esperienze della vita, osservazioni e sentenze che rivelano la natura vera e l'andamento dei molteplici fatti

 

<XIX>  

che ci si offrono e delle cose che ci circondano. L'anima buona e perspicace del nostro popolo giudica con prudenza tutto e tutti, e su tutto sa dare precetti e ammaestramenti o rivela sapere e spirito di critica. Prospetta così doveri e castighi, indica mali e rimedi, suggerisce coraggio ad affrontare disagi e pericoli della vita per poi dire filosoficamente:

 

 Chi vo' vive senza pene, piji 'l munnu come vene.

 

 Tira là trentotto mija,gran minchion chi se la pija.

 

 'N bon focu, 'n bon fiascu de vinu e tiri tramontana.

 

Il popolo umbro è forte, come anche sa essere sprezzante ; a volte si mostra sboccato e alquanto rozzo nella dizione, ma questi difetti da quanti e innumerevoli pregi non sono compensati? Il linguaggio figurato è poi una delle manifestazioni più felici del suo pensiero.

Il popolo rivela i suoi concetti secondo le impressioni dell'ambiente domestico e paesano in cui vive e non poche delle sue creazioni ricordano, in qualche modo, Fedro e La Fontaine.

 

Per parlare di un uomo che pecca di straziante ingratitudine, si esprime così

« E poveretto me », desse lu bóe,

 quann' al macellu se vedde portane:

 e se rivorze versu lu padrone:

Quest'è lo pa' (pane) che t'ho fattu magnane?»

 

<XX>  

Vuol dare consigli di adattamento alle condizioni, non sempre floride, di famiglia? Fa così parlare la volpe ai suoi figli

Desse la vorbe a li fiji: «Quan' a pulle, e quann' a grilli».

Parimenti per dirci che chi ha dei gravi difetti ne fa spesso carico ad altri, quasi per sembrarne esso immune, ci avverte che lu bóe chiama curnutu l'asinu e che la patella dice nirillu a lu callaru. Per insegnarci, poi, che l'uomo inclinato a far del male, non cambiera mai la sua natura, afferma che sempre te graffierà chi nasce gattu. E per appalesarci la fine miserevole che aspetta a chi è sordo a buoni consigli, fa dire dalla merla a lu turdu: senterai la botta, se si surdu.

E potrei portare altri esempi di questo linguaggio, ma per averne un'idea sufficiente, reputo bastevoli quelli che ho addotti.

In conclusione, tante sono le bellezze di concetto e di forma di questi proverbi, tanti i loro utili insegnamenti e tanto il diletto che ne deriva, che affrontando difficoltà di vario genere e imponendomi sacrifici gravi di lavoro, mi sono sentito portato a ricercarli per lungo tempo, collezionarli e chiarirli in quel modo migliore che mi è stato possibile.

Ed ora questi proverbi, in numero di circa duemila, sono nella mia interessante Raccolta. Con la mente desiosa di conoscerli e di studiarvi l'anima del nostro popolo, li ho ricercati al monte e al piano, nelle: città e nei villaggi, nelle case superbe, ma soprattutto, negli umili abituri. Li ho ricercati, lo dirò con franchezza, con devoto pensiero, ed ora, finalmente, mi è dato dire con soddisfazione: «Son qui, nel mio volume!» E commosso, con un senso, quasi direi di venerazione, li guardo ed ammiro, pensando alla grande opera educatrice che, con

 

<XXI>

 

 

(1) Alcune delle laude tanto ammirate di Fra Jacopone hanno carattere evidentemente proverbiale. Fra esse si distingue quella che comincia: «Amor di povertade».

 

forme al pensiero di Francesco e di Jacopone (1), seppero compiere nella mite famiglia umbra unitamente ai canti e alle poesie religiose. Essi, nel complesso, presentano un non so che di morale e di sacro, da potersi, sovente, ricollegare alle soavi verità dei due Testamenti e agli insegnamenti dei grandi riformatori del pensiero umbro dei secoli XIII e XIV. E mentre li riguardo sempre più e li ammiro, appariscono agli occhi della mia mente quasi piccoli esseri viventi; spiriti di sapienza, di bontà e di pace.

E sotto questa impressione vorrei che ciascuno mi raccontasse la sua storia, storia di lunghi secoli, storia attraverso innumerevoli generazioni, storia che riguarda tante anime care, su cui essi esercitarono il loro influsso e che ora dormono il sonno gravoso della morte.

Vorrei che mi parlassero di lacrime asciugate, di sentieri di virtù additati, di pericoli loro mercé scongiurati, di felicità apportate, di cambiamenti miracolosamente operati, ma invano... Ad un tratto questi piccoli spiriti si risollevano alati dalla mia Raccolta e come vaghe ed agili farfalle, come candidissime figurine di neve, agitate da un fiato di vento, riprendono la via del monte e del piano, della città e del villaggio, delle case superbe e degli umili abituri, ed io, col cuore commosso, cogli occhi bagnati di lacrime, stendo trepide verso di essi le braccia e benedico alla loro nobilissima missione e alla loro fortuna.

 

PROF. ORESTE GRIFONI

 

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