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Sant'Antonino Fantosati
La vita

 

P. Cipriano Silvestri O.F.M.

Il Beato Antonino Fantosati

Vescovo e Vicario Apostolico del Hu-Nan meridionale
martirizzato il 7 luglio 1900 a Heng-Tciou-Fu

S.Maria degli Angeli – Tipografia Porziuncola - 1947

 

 

Alcune parole di introduzione

I Martiri Cinesi del 4, 7 e 9 Luglio 1900, elevati nello splendore del maggior tempio della cristianità agli onori degli altari, per il "gesto magnanimo del Sommo Pontefice Pio XII" il 24 Novembre 1946 sono ventinove, piccola avanguardia di altri mille e mille che nella fiera persecuzione dei Boxers accettarono di sacrificare sostanze, riputazione e la vita stessa, pur di rimanere fedeli alle promesse del S. Battesimo e che aspettano, alla loro volta, la loro sicura e meritata glorificazione.

L’ingente numero delle vittime, tra le quali catecumeni, neofiti, donne, fanciulli e gente di ogni condizione sociale, ci dice l’intenso fervore delle comunità cristiane cinesi del 900, dovuto – oltre che alla grazia – al lavoro veramente ammirevole degli Operai Evangelici e alla santità della loro vita.

Tra questi emerge la figura di Mons. Antonino Fantosati, gloria autentica dell’Umbria, perché nato a Trevi il 16 ottobre 1842. Fattosi Religioso francescano in giovane età, si vide ben presto cacciato dalla rivoluzione spadroneggiante dalla pace del chiostro. La Provvidenza lo chiamava a Roma, dove una voce autorevole destò in lui la vocazione alle Missioni, a cui rispose colla generosità delle anime grandi.

Suo primo campo è l’Alto Hupè, dove per venticinque anni, colla sua non comune abilità rialza il prestigio della Chiesa Cattolica, fatta segno a tutti i pregiudizi e alle più strane calunnie. Fonda cristianità anche nei grandi centri, fino allora chiusi al Vangelo; alza orfanotrofi, scuole, chiese, cappelle. Tutti sono concordi nell’attribuire al nostro Martire l’alto prestigio che la Religione Cattolica ha sempre goduto là, dove è ancora in benedizione e in grande venerazione la sua memoria. Chiamato dalla fiducia di Leone XIII a reggere la Chiesa del Hunan Meridionale, l’anno 1892, sebbene nell’età di già cinquanta anni, profuse i soliti prodigi di zelo, venendo a contatto col popolo, di cui possedeva meravigliosamente la lingua e i costumi, attirandosi la stima e l’affetto dei suoi Collaboratori; dolce e buono coi Convertiti, che sapevano di trovare in lui l’anima di un Apostolo e un cuore di Padre.

Ma i tempi correvano tristi. Voci di persecuzioni, più o meno manifeste; l’irrigidimento nuovo dei mandarini, allora onnipotenti, di fronte a qualsiasi giusta rivendicazione dei diritti della Chiesa; la sorda ostilità della classe colta, l’arresto di conversioni tra il popolo… tutto giustificava il sospetto di una persecuzione vicina.

"Le cose della Cina – scriveva P. Antonino all’affacciarsi del secolo XX – non vanno bene. Si vive alla giornata, e da un momento all’altro vi può essere una rivoluzione generale ". (Piedilama: cenni biografici – ms., presso la Postulazione Generale dei Frati Minori).

Aggiungi che mentre i Boxers scorrazzavano indisturbati e protetti, e da Pechino partivano senza interruzione proclami di esterminio, il Hunan, terra eminentemente Xenofoba, era diventata il centro di irradiazione di tutto l’odio buddista-confuciano, che si estendeva, per mezzo di numerosi emissari, di vignette, di libri e di libelli, in tutta la Cina.

La persecuzione nel Hunan scoppiò la notte del 3 Luglio. Il giorno seguente fece una prima vittima nella persona del P. Cesidio Giacomantonio di Fossa, negli Abruzzi. Il giorno 7 fu la volta del Vescovo e di un suo Missionario, il P. Giuseppe Gambaro di Galliate (Novara), a cui il 9 dello stesso mese fece seguito nello Sciansi la strage dei ventisei, cioè due Vescovo: Mons. Gregorio Grassi e Mons. Francesco Fogolla: due Sacerdoti, i Padri Elia Facchini e Teodorico Balat; un Fratello, Fra Andrea Bauer: sette Francescane Missionarie di Maria; 5 Seminaristi indigeni: e 7 tra catechisti e domestici.

Del glorioso drappello dei Beati, ventisei "sono vanto e decoro dell’Ordine dei Frati Minori, il quale, da più di sette secoli, attende in tutti i Continenti alla evangelizzazione dei popoli infedeli, fecondando con le fatiche e col sangue dei suoi figli un apostolato che non ha avuto mai interruzione, e che ogni giorno più si arricchisce di nuove conquiste" (Salotti).

Del nostro Martire esiste una brevissima Biografia di Don Oreste Grifoni (Spello, 1902); vi è poi il manoscritto già citato del P. Piedilama e la vita scritta da me per incarico di Mons. Mondaini, il successore di Mons. Fantosati (Quaracchi, 1914). In occasione delle feste di Beatificazione sono apparse più o meno brevi, varie monografie del Martire, tra le quali quella del "LA TESTIMONIANZA DEL SANGUE" (Roma, Tip. "DON GUANELLA", 1943), che viene riprodotta in queste pagine.

 

Capitolo primo - Dall’infanzia all’arrivo in Missione

Sommario
a) La terra di S. Francesco.
b) Come Antonino divenne Missionario.
c) Da Roma alla capitale del Hu-pe.
d) Un mese in barca sopra un affluente del Fiume Azzurro.

 

a) - La terra di S. Francesco.

L’Umbria fu detta, ed è veramente, terra di Santi, soprattutto dopo che Francesco d’Assisi la percorse coi piedi stimmatizzati e vi diffuse in tanta copia quel suo spirito di dolce misticismo e di fraternità universale. Qui il cielo sembra più vicino alla terra, e ancora oggi par di rivivere quei commoventi episodi che lo stile inarrivabile dei Fioretti ha reso così popolari.

È in questa terra fortunata e propriamente nelle vicinanze di S. Maria in Valle, piccola borgata della cittadina di Trevi, che il 16 ottobre 1842 nacque, in una modesta casetta ombreggiata da pioppi, il nostro futuro apostolo e Martire della Cina, da Domenico e Maria Bompadre.

Il fanciullo fu battezzato lo stesso giorno, coi nomi di Antonio, Sante, Agostino.

Di natura timida e di costituzione assai debole, Antonio sembrava nato per essere un bravo e pacifico campagnolo o, tutt’al più, un devoto fraticello di qualcuno di quei conventi di cui è popolata l’Umbria, ma non un apostolo intraprendente e un Martire di Gesù Cristo.

Ancora giovinetto, fu mandato a scuola da Padri francescani del vicino Convento di S. Martino.

Colla sacca dei libri sotto il braccio, e sul banco di scuola, Antonio si sentì più a posto che non a casa tra gli attrezzi domestici o in mezzo al chiasso e ai giuochi dei compagni. Però né lo scolaretto, né i genitori s’erano forse ancora proposti uno scopo determinato. Al piccolo Antonio era più che sufficiente, per studiare, il sapere che questa era la volontà dei suoi e Domenico e Maria, dei sacrifizi fatti per l’educazione e l’istruzione del figlio, si sentivano abbondantemente ricompensati nel saperlo lontano dai cattivi compagni e nel vederlo servire all’Altare ed assistere alle sacre funzioni con pietà e compostezza.

Nell’anima di Antonio si andava , però maturando lentamente qualcosa di nuovo. Le austere pareti del chiostro francescano, istoriate di vecchie pitture, avevano per lui delle voci suggestive di attrazione e d’incanto. La piccola famiglia francescana gli appariva ogni giorno di più come la sua stessa famiglia. La decisione era presa , e avuta la benedizione e il consenso dei suoi, all’età di 16 anni vestì l’abito del Patriarca dei poveri nel solitario Convento della Spineta, in Diocesi di Todi, cambiando il nome di Antonio in quello di Fra Antonino.

La vita religiosa non ebbe – si può dire – novità per lo scolaretto di Trevi, ed i maestri ebbero in lui subito il giovane serio, convinto e allenato alle rinunzie della disciplina monastica.

"Durante il noviziato – scrivono i suoi compagni – Antonino fu veduto sempre mortificato, sottoposto, pieno di spirito nel fare la meditazione e nel frequentare i SS: Sacramenti, e dava a tutti l’esempio di accortezza e bontà, non ipocrita né finta, ma vera e religiosa". (P. Piedilama - "P. A. Fantosati ": Cenni storici – ms.)

Dopo l’anno del Noviziato, Antonino fu mandato a Cerreto di Spoleto a compiere gli studi, e qui fece pure la professione dei Voti Solenni il 28 Luglio 1862, consacrandosi a Dio nel tempo e per l’eternità.

Intanto nel settembre del 1860 le truppe piemontesi e garibaldine occupavano l’Umbria e le Marche, obbligando anche i giovani avviati al Sacerdozio ad interrompere i loro studi, e a prendere, in luogo dei libri, il saccopane, lo zaino e il fucile.

Antonino, a cui arridevano altre battaglie più nobili, riparò con alcuni compagni nel Patrimonio di S. Pietro non ancora occupato, e continuò i suoi studi a Onano e a Roma, distinguendosi - come attestano i suoi compagni - "sopra tutti gli altri giovani chierici in bontà e dottrina" (Id.).

A Carpineto Romano Antonino salì la prima volta l’Altare per offrire l’Ostia Santa il 13 Giugno 1865 all’età di 23 anni, assistito - come padrino – dal Conte Giovanni Battista Pecci, fratello di Leone XIII, che l’onorò poi della sua amicizia tutta la vita. (Oreste Grifoni - "Biografia del Martire A. Fantosati": Spello, 1902, p. 6)

  

b)- Come Antonino divenne Missionario.

Nei primi mesi del 1867 Antonino si trovava a Roma, nel Convento di S. Francesco a Ripa, l’antica dimora di Frate Iacopa dei Settesoli. Aveva 25 anni. Qui un giorno P. Bernardino da Portogruaro – allora procuratore e poi Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori, morto Arcivescovo in concetto di santità – si diede ad esporre lo stato lacrimevole in cui si trovavano le Missioni, specialmente quella della lontana Cina, per mancanza di operai evangelici. Tutto ad un tratto, rivolto ad Antonino: "E voi che siete giovane –gli disse – perché non andate là a convertire quella gente?"

"Veramente – rispose Antonino con la solita arguzia – io non me la sentirei molto di andare a farmi uccidere da quei bravi Cinesi; ma giacché Vostra Paternità lo desidera, andrò". (Grifoni, p. 6,7 ).

Questo aneddoto, di sapore eminentemente francescano, starebbe a dimostrare la prontezza di spirito e l’ubbidienza del futuro Martire.

Ad ogni modo, l’impegno era preso. Per una felice combinazione in quel tempo si stava preparando una spedizione missionaria per la Cina.

Antonino, adunque, dati gli esami in Propaganda e salutata la famiglia e gli antichi amici, maestri e confratelli di Trevi, il 10 Ottobre 1867 si mosse da Roma col Crocifisso Missionario sul petto, alla volta di Marsiglia, dove erano ad attenderlo altri otto compagni, tra i quali il Padre Elia Fachini da Reno Centese, - che dopo soli due giorni doveva seguirlo al martirio – e un folto gruppo di Suore Canossiane che andavano a fondare quelle opere di assistenza e di cooperazione femminile, oggi così fiorenti in Hankow.

A capo era Mons. Zanoli, veterano Missionario e Vicario Apostolico del Hu-pè, che dall’Italia, dove era venuto in cerca di nuovi lavoratori, tornava tra i suoi cari Cinesi.

 

c) Da Roma alla capitale del Hu-pe.

Il Viaggio di mare del nostro Antonino ci è narrato in una lettera collettiva, scritta al Procuratore dell’Ordine, al momento dell’arrivo nella capitale del Hu-pe.

"Dopo 60 giorni – essi scrivono – che partimmo dall’alma Città, il giorno 15 Dicembre, col nostro Vescovo, in buona salute siamo finalmente giunti a questa capitale del Hu-pe, Uccian, metropoli del Vicariato e residenza principale della Missione.

Sia sempre benedetto in eterno e ringraziato il Dio delle misericordie, il quale, per l’infinita sua bontà, avendoci chiamati alla vita apostolica, assai per tempo ha preso a farci sperimentare il suo aiuto nel condurci a queste remote orientali regioni della Cina sani e salvi dalle ire dei mari e dalle molte sensibili varietà dei climi e delle zone per le quali dovemmo passare.

L’insieme del nostro lungo viaggio è stato felice. Nel medesimo giorno che muovemmo da Roma c’imbarcammo a Civitavecchia (10 Ottobre).

Una fiera burrasca salutava gli esordi del nostro viaggio e facevaci toccare con mano quanto sia terribile un mare in tempesta, a quelli segnatamente che, come noi , navigano per la prima volta. La burrasca durò fin presso Genova, dove giungemmo la mattina del 12. La sera del 16 tutti eravamo in Marsiglia; le Suore divise in due Case di Religiose, e noi nel Convento dei RR.PP. Cappuccini. Dopo esserci trattenuti colà, fra le più cordiali significazioni di affetto di quei RR.PP. e tra quella eletta schiera di giovani Sacerdoti Italiani, ivi in gran numero rifugiati perché scacciati barbaramente dai sacri chiostri, il giorno 19 uscimmo da quel porto e passando lo stretto di Bonifacio (20 Ottobre), il faro di Messina (21 Ottobre), lasciammo a sinistra la Grecia, e il 25 al far del giorno approdammo ad Alessandria. Di qui per ferrovia andammo al Cairo, da dove partii il giorno appresso (26), sull’annottare eravamo a Suez. Rimessici in viaggio, dopo una navigazione molto felice, il giorno 2 Novembre la nave sostava al porto di Aden nella costa meridionale dell’Arabia; e, lasciando a sinistra Socotra, passava tra le Naldine e le Lachedine,e andava a fermarsi il giorno 12 in Galles, punto di quel giardino dell’India che è l’isola di Ceylan.

Qui tutti prendemmo terra e per un intero giorno avemmo agio di vedere ed osservare cose del tutto a noi sconosciute: piante, quadrupedi, rettili di mille specie. Il dì seguente si ripartiva oltrepassando le isole Nicobar (17), lo stretto di Malacca, e il giorno 19 tornammo a prender terra nella piccola isola di Singapore, dove fummo ospiti dei Padri delle Missioni Estere.

Proseguendo il viaggio giungemmo a Saigon il 24. Il giorno 30 arrivammo a Hongkòng, e dopo pochi giorni a Sciangai.

Di lì il giorno 12 di Dicembre, movemmo per questa residenza; e dopo settecento miglia sul fiume Ianzekian, il giorno 15 sul mezzodì felicemente vi giungemmo"(1) Lettera al R.P. Procuratore Generale dell’Ordine dei Minori a Roma – Uccian, 17 dicembre 1867. Dalla Cronaca delle Missioni Francescane, anno 1868.

 

d) Un mese in barca sopra un affluente del Fiume Azzurro.

Quando il Fantosati giunse nel Hu-pe, le tre città di U-tciang, Aan-yang e Hankow, che formavano quasi una sola capitale, erano lungi dall’essere quello che sono oggi.

Anche il vangelo vi aveva fatto pochi progressi dal giorno in cui il B. Perboyre – trent’anni prima – giunto in Hankow non vi trovò che poche famiglie cristiane. Tanto la Procura, come la Chiesa, l’Ospedale, l’Orfanotrofio e quella fioritura di opere missionarie di assistenza, di educazione, di carità e di cultura che vi si trovano oggi sono tutte cose venute dipoi.

Riposatasi, adunque, qualche ora nell’umile casetta del Procuratore delle Missioni Francescane, la nostra comitiva passò in U-tciang sulla sponda destra dell’Azzurro dove era la Residenza Vescovile, una Chiesa e il Seminario; e quivi subito i nuovi arrivati diedero principio ad un ritiro di otto giorni per ritemprarsi, nel silenzio e nella preghiera, dalle distrazioni del lungo viaggio, e prepararsi, sull’esempio del Divino Maestro, ai disagi e alle avventure della vita apostolica.

Terminato il ritiro, e mutate le umili vesti francescane in quelle più appariscenti di Letterato cinese, e il proprio nome in quello di Fan-hoae-te, che vuol dire Fantosati il Virtuoso, il nostro Missionario ebbe ordine di rimettersi in viaggio con un compagno – il R. Padre Diego Lera – e di salire verso l’Hu-pe; per cui, noleggiata una barca per una ventina di lire, il 6 gennaio del 1868 cominciarono a risalire il fiume Han, grosso affluente dell’Azzurro, dove sbocca a Hankow (porto del Han) dopo oltre 1000 chilometri di percorso.

Viaggiare sui fiumi della Cina non è cosa punto piacevole. Dopo 32 anni, il Fantosati conservava ancora viva l’impressione di questo primo viaggio, per cui scriveva ad un Missionario nuovo venuto: " Da Han-Kow a Hengtciou lei sarà condotto con barca cinese, nella quale sarà privo di tutte le comodità di cui godono i viaggiatori nelle grandi navi; allora si ricordi che è arrivato il tempo di esercitare la pazienza, di avere così la prima lezione del buon Missionario". Silvestri… p.37).

I nostri due apostoli, pieni di gioventù e di zelo, affrontarono coraggiosamente quei primi disagi, sapendo che anche quegli stessi luoghi erano stati santificati dalla presenza di tanti celebri Missionari, come il beato Clet, il Beato Giovanni Lantura, il Beato Perboyre ecc.

Tali ricordi imprimevano un senso mistico di religiosità ai luoghi, e rendevano loro dolci anche le inevitabili molestie del lento avanzare , del tempo, della poca urbanità dei barcaioli, della curiosità provocante dei hupeani, della rozzezza dei servi e di tante altre grandi e piccole noie che conosce solo chi è pratico di tali viaggi.

I due si valsero dell’ozio forzato per imparare a memoria un formulario cinese della confessione, onde rendersi, così, presto capaci di esercitare il sacro ministero.

Il viaggio – scrive il detto P. Lera – durò circa un mese.

Finalmente oltrepassata Siang-yang, dalle mura merlate, città capoluogo dell’Alto Hu-pe e che ricorda i fratelli Polo, e lasciato alla loro destra il popoloso porto di Fan-tceng, giunsero in vista di Ku-lao-tzei, dove terminava la via di fiume. Di qui si diressero a piedi alla piccola città di Ku-tceng, distante qualche chilometro, e poi a Hoang-scia-ja-tze, piccola cristianità perduta fra profonde risaie, dove giunsero salutati e festeggiati dai numerosi antichi cristiani del luogo.

Ormai il Martire aveva raggiunto l’Alto Hu-pe, il campo apostolico assegnatogli dall’ubbidienza.

 

 

Capitolo secondo  - Fervore di Apostolato

Sommario
a) Le eroiche cristianità dello Scian-kin.
b) Missionario della "Valle del carbon fossile"..
c) Di nuovo a Scian-kin.
d) Due sposi che … non si sposarono.

 

a) Le eroiche cristianità dello Scian-kin.

La cristianità di Hoang-scia-ja-tze, posta alle falde della catena delle montagne su cui è Tcia-yuen-kou l’attuale "Verna cinese" - era per il P. Diego il termine del lungo viaggio. Il Fantosati, era stato invece destinato ad altre cristianità più lontane ai confini dello Scen-si, e distanti ancora quasi mezzo mese di cammino per terra. Egli dovette, dunque, separarsi anche dall’amato compagno, il solo filo – diremo così – che legavalo ancora al passato. Ma non per nulla si è Missionari. Rimessosi adunque in viaggio col piccolo bagaglio apostolico e seguito da un domestico che era stato pedissequo del Martire Perboyre, si incamminò verso le Missioni dello Scian-kin, dove giunse probabilmente verso la fine del Marzo di quell’anno.

Scina-kin, - termine geografico- vuol dire "panorama alpestre". La microscopica città, che dà il nome a questa miserabile striscia di terra cinese, è infatti all’estremo Hu-pe, e ad esso fanno capo le più antiche cristianità di questa provincia, che risalgono, probabilmente, all’imperatore K’ang-si (1662-1723) o –al più tardi – all’Imperatore Iung-tgen (1723-1736).

Fu allora che i cristiani, pacifici abitatori delle città e dei paesi bagnati dal Han – incalzati da una feroce persecuzione – dietro il consiglio evangelico abbandonarono le loro case e le terre e vennero a contendere alle belve queste foreste, pur di mettere in salvo la vita e la fede. Solo però verso l’anno 1850 fu innalzata quassù una cappella e una casetta, privilegio, allora, solo di poche altre comunità cristiane della Cina. Andrebbe però lontano dal vero chi si immaginasse le cristianità dello Scian-kin a guisa delle parrocchie dei nostri paesi di montagna, siano pure i più isolati e selvaggi. Ogni confronto è impossibile. Niente è qui che rassomigli ad un paese. Gli antichi abitatori comprarono il diritto di poter pregare col nascondersi agli occhi dei satelliti, veri segugi insaziabili, internandosi in quelle valli e burroni, e quivi sono rimasti pure i loro discendenti, coltivando le stesse terre e continuando la stessa vita, in apparenza semiselvaggia.

Un Missionario, che vi rimase qualche anno, narra le sue impressioni in questo modo: "Distante da Lao-ho-kow circa quattrocento chilometri, senza vie e senza comunicazioni, Scian-kin è un luogo eminentemente solitario e capace di domare qualunque febbricitante del giornalismo moderno. I nuovi arrivati provano quanto è terribile l’esilio dalla Patria. Quella solitudine non interrotta che nelle domeniche, quei monti rocciosi che ti tolgono l’orizzonte e il respiro da tutte le parti, quelle eterne scogliere, quei profondi e oscuri burroni, ti si imprimono indigesti nel cuore, ti fanno dire che sono luoghi proprio per le fiere. Ma, a poco a poco, ci si adatta e ci si affezione" (Silvestri: p.41)

Nella solitudine e nel silenzio della sua casetta Antonino si diede tutto allo studio della lingua, che arrivò a possedere, dopo qualche tempo, speditamente quasi come un cinese.

Pieno di zelo percorse più volte tutte le cristianità del suo vasto Distretto, esortando i catechisti e i cristiani più influenti a diffondere la religione e la dottrina di Gesù Cristo. Egli stesso predicava con tanto successo che arrivò a battezzare parecchi infedeli e a fondare nuove cristianità. " E in mezzo alle immense fatiche dell’apostolato – scrive il suo biografo – manteneva lo spirito di sacrificio e soffriva volentieri la fame, il freddo, gli incomodi della salute e le persecuzioni dei pagani" (Piedilama).

Così il martire gettava le basi di quella attività apostolica che doveva poi svolgere con tanto frutto e tanto successo nei lunghi anni.

 

b) Missionario della "Valle del carbon fossile"

Il Martire si trovava a Scian-kin da circa un anno, quando ebbe l’ordine di far fagotto e di portarsi a curare la Missione di He-tan-kou, distante circa tre giornate di cammino.

Anche He-tan-kou è temine geografico e significa "Valle del carbon nero". Così è chiamata una vasta zona dell’alto Hu-pe ricca di depositi carboniferi ancora da sfruttare.

La cristianità di tal nome si trova sulle alte catene dei monti interminabili della sottoprefettura del Jüng-si che vanno a riannodarsi ai sistemi appenninici del lontano Se-tcioan. Sopra uno di questi monti è la casetta del Missionario.

Anche He-tan-kou deve la sua esistenza alle stesse ragioni di quelle dello Scian-kin; qui però siamo ancora più solitari e quasi isolati affatto dal mondo. L’occhio non incontra sull’orizzonte che picchi di montagne che si inseguono come i flutti di un mare in tempesta . Il Missionario è come un eremita a guardia del santuario della Fede dei suoi cristiani, e solo i giorni di festa la povera ed umida cappella si anima di buoni montanari dai sandali di paglia e dalle vesti di cotone grossolano come un cilicio, accorsi da tutte le parti per ascoltare la parola di Dio ed assistere alla S. Messa. Poi di nuovo silenzio e solitudine profonda, solo raramente interrotta dalla visita di qualche cristiano che viene dal Padre per i propri interessi o per disegni di ministero.

Io fui di passaggio al romitorio di He-tan-kou, e credo che pochi di altri luoghi da me visti possono gareggiare con quello in fatto di isolamento. In Compenso i cristiani sono semplici ed affezionati al Missionario, col quale dividono le rinuncie della solitudine e le gioie di una grande povertà.

Al tempo del Beato, da quella cristianità ne dipendevano un’altra poco numerosa, lontana e scomoda, detta Kao-tciao-kou, nella Sottoprefettura di Fan-sien, come anche le due Sottoprefetture di Tciou-scian e di Tciou-tci dove, sebbene non vi fossero vere e proprie comunità di fedeli, pure il Missionario doveva recarsi almeno una volta all’anno per visitare e dare i Sacramenti a due o tre antiche famiglie cristiane che s’erano trasferite lassù. L’impresa è di quelle che avrebbero fatto esclamare a S. Girolamo: "Dura evangelizantium conditio!" Vie impraticabili e pericolose; mancanza di cibi e alberghi dove passare la notte; salite a picco e discese vertiginose; guado di furiosi torrenti, sole cocente d’estate fango e montagne di neve d’inverno … tutto si posa indigesto sul cuore del povero Missionario, che è tentato talvolta a pensare con insistente nostalgia alla vita tranquilla e metodica del proprio monastero abbandonato.

In mezzo a tante estenuanti fatiche la salute di Antonino fu messa a dura prova, e un giorno, mentre trovavasi in giro per le vie del Fan-sien, si ammalò gravemente. Fu subito mandato un uomo a Hoang-sci-ya-tze per il P. Lera perché in fretta accorresse al capezzale dell’amico moribondo. Dopo molti giorni il cursore ritornò solo, recando una lettera del Missionario suddetto dove si diceva che anche egli era stato gravemente ammalato fino ad avere avuto gli Estremi Sacramenti, e che perciò era molto dispiacente di non poter venire.

Fortunatamente, al ritorno del messo, il Fantosati era ormai fuori pericolo e in piena convalescenza.

 

c) Di nuovo a Scian-kin.

Intanto nelle Missioni del Hu-pe accadevano mutamenti di personale e di territorio. Questa provincia che fino al 1853 formava ecclesiasticamente un solo Vicariato Apostolico, ora, per le nuove conversioni avvenute, non poteva esser più governata da una sola persona, e quindi Roma decise di farne tre Vicariati distinti coi nomi di Hu-pe Meridionale, Orientale e Nord-Ovest, con le relative sedi di U-tchiang, I-tchiang e Ku-tceng. A superiore del Hu-pe Nord-Ovest, dove trovavasi il Fantosati, fu eletto il Padre Ezechia Banci che allora reggeva il distretto di Scian-kin in qualità di Vicario Foraneo; ed in suo luogo vi fu trasferito il nostro Antonino.

Per la seconda volta, adunque, nello spazio di due anni, egli rivedeva i suoi cari cristiani di Scian-kin, tra i quali ritornava desideratissimo.

Il Padre Modesto Everaerts, morto Vicario Apostolico di I-tciang il 27 Ottobre 1922, in concetto di santo, e che al suo arrivo in Cina ebbe il Fantosati per Vicario Foraneo, così descrive la di lui attività apostolica di questo tempo.

"Vidi il P. Antonino per la prima volta l’anno 1874 nel mese di settembre a Scian-kin. Dovendo prepararmi a dare la mia prima Missione in Yüng –si egli mi disse di accompagnarlo nella cristianità di Pe-ho-sce-kou, e potei così ammirare il suo zelo per le anime. Ogni giorno di buon mattino celebrava con grande fervore la S. Messa e teneva un discorso ai cristiani. Dopo colazione esaminava i medesimi con somma pazienza intorno al catechismo e li preparava alla confessione. Aveva poi una cura tutta speciale per i fanciulli. Nel pomeriggio veniva da lui chiunque avesse avuto qualche questione da comporre, ed era veramente ammirabile nello zelo e nella facilità di aggiustare gli affari. Anche io quando avevo tra mano dei casi difficili invitavo il Martire a venire in mio aiuto, ed egli prontamente accorreva e accomodava le cose in maniera che le parti interessate rimanevano pienamente contente. Era molto amato tanto nello Scian-kin che in He-tan-kou non solo dai cristiani ma anche dai pagani, coi quali qualche volta veniva a consiglio. Io non dubito –continua il detto Padre –che, se la P.V. si recasse in quei luoghi, i cristiani non avrebbero per la cara memoria del loro antico Missionario che parole di riverenza e di gratitudine". (Silvestri, Vita, p. 45).

Ciò era pienamente vero. In un mio viaggio fatto quattro anni dopo del martirio del Beato sui monti dello Scian-kin e di He-tan-kou, ebbi la dolce sorpresa di trovarvi viva e recente la memoria dell’antico Missionario e furono pieni di gioia all’udire che si sarebbe iniziata la Causa di Beatificazione del loro caro Fan-hoae-te. Essi ripetevano a coro la sua carità, la sua grande pazienza e buon senso, la sua abilità insuperabile nel condurre a buon fine questioni assai intricate e difficili.

 

 

d) Due sposi che … non si sposarono.

Per cinque anni continui il nostro infaticabile Antonino restò Vicario Foraneo al "Panorama Alpestre".

Secondo la bella frase del Missionario altra volta ricordato, sebbene lo Scian-kin sia luogo da fiere, "pure a poco a poco ci si adatta e ci si affezione"

Così accadde al Martire.

Dopo Scian-kin cominciò per lui la vita dei grandi centri e il contatto con l’alta società. Ma gli anni di poi furono ben lungi dall’avere la cara poesia delle casette romite di Scian-kin e di He-tan-kou, sperdute tra le gole dei monti, ma rallegrate dalla cara semplicità di quei ferventi cristiani.

Tra le altre avventure di quel tempo, egli soleva narrare d’essere stato preso due volte per la barba e il codino da un cattivo cristiano. Un’altra volta mentre ascoltava la confessione di una giovane donna che doveva essere sposa il giorno dopo, sentì da un angolo della cappella: "Sce t’à? (e quella? : mi fo piuttosto romito! " Era il fidanzato che vedeva per la prima volta la sua futura sposa, e non trovandola di suo genio, era uscito in quelle parole.

Inutile dirlo: il giorno appresso per la benedizione del matrimonio si presentò la ragazza, ma l’uomo è ancora da vedere.

 

 

Capitolo terzo - Nel porto di Lao-ho-kow

 

Sommario
a) "La seconda Trevi".
b) Il segreto dei veri apostoli.
c) Vicario Generale e Amministratore Apostolico.
d) Il Superiore modello.

 

a) "La seconda Trevi".

    Tutti – osserva il Padre Faber – abbiamo quaggiù una missione specifica da compiere, e quando nn vi si pongono ostacoli, la Provvidenza offre i mezzi e prepara l’ambiente adatto per compierla degnamente.

    Il beato aveva avuto da natura le doti di capitano. Ma sui monti dell’alto Hu-pe, ricchi di vegetazione vergine e alloggio dei lupi, le sue grandi qualità rimanevano come atrofizzate e compresse. E il Signore provvide che la lampada fosse tolta di sotto il moggio, e posta sul candelabro, chiamando il Beato nel porto di Lao-ho-kow.

    È in questa città, la più importante, per numero di abitanti, dell’Alto Hu-pe, bagnata dal fiume han, e ricca di pagode e di camere di commercio dai tetti fantastici, che il nostro Martire poté mettere in evidenza tutta la sua attività per ben 18 anni. Egli soleva chiamare Lao-ho-kow la sua "Trevi adottiva ". Qui dovette essere fino da antico una comunità cristiana perché vi troviamo il Beato Francesco Regis Clet verso il 1808 a dar la missione. (1) (Vie du Vénérabile François Regis-Clet, etc. – Paris, Gaume e C.ie.)

    Trent’anni dopo la ricorda pure il Beato Perboyre.

    "Lao-ho-kow – egli scrive – è l’emporio più grande del Hu-pe dopo Han-kow; non ostante però l’estensione di queste due città, i Cinesi non le chiamano con altro nome che con quello di porti. Essi racchiudono grandi ricchezze, grandi magazzini, belle botteghe, vie decorate come quelle delle nostre maggiori città nelle grandi ricorrenze, poiché al di sopra e ai lati delle vie pende una fila di insegne. Parigi ha delle arterie più larghe, ma non più movimentate, e nelle sue botteghe non si potrebbe essere accolti e serviti con maggiore eleganza e con maggior garbo di qui. In Lao-ho-kow vi sono alcuni cristiani, ma non li abbiamo potuti vedere che nelle barche per non cadere nelle mani di due vecchi apostati, che sono nostri mortali nemici". (Silvestri, Come si vive in Cina, Tipografia Barbera, Firenze 1907, p.213).

    Da un’ultima relazione che porta la data del 1859, veniamo a conoscere che in quel tempo vi erano in Lao-ho-kow [Lao-bo-kaw, nel testo] una trentina di cristiani, ma freddi e praticamente apostati, per la mancanza abituale della visita del Missionario, ostacolata dalle ragioni suddette. (Id.).

     

     

b) - Il segreto dei veri apostoli.

Tutto era dunque da fare, mentre il cristianesimo era visti in alto e in bassa attraverso una fitta rete di pregiudizi e calunnie, Antonino col suo coraggio dei veri apostoli, si mise all’opera e riuscì. Bisognava farsi un programma e adattare questo programma all’ambiente. Il modo di esprimere il pensiero e di apprezzare le cose è, per i celesti, molto diverso dal nostro. Il Martire ebbe eminentemente il dono di penetrare nell’anima cinese, coglierne le deficienze, valorizzarne i lati buoni, affrontare gli inevitabili attriti senza abbattersi per gli apparenti insuccessi.

La Cina tartare del 1900 era moralmente assai in basso: soprusi e ingiustizie a danno dei deboli erano all’ordine del giorno, indispensabile alimento dell’oppio, del vizio e della crapula; voler capovolgere d’un tratto un tal sistema di vivere per uno straniero sarebbe stata un’impresa impossibile e pericolosa o almeno inutile. Antonino accettò la realtà; in luogo di lottare, che sarebbe stata partita perduta per sempre, s’insinuò destramente nella società dei grandi: fece sentire le ragioni dei deboli, quando poté, ripiegando destramente in caso contrario, e aspettando il suo tempo.

Il metodo del Missionario europeo non dispiacque perché non urtava nessuno, e attorno a lui s’iniziò un andirivieni continuo di personaggi più o meno illustri. Erano mercanti, Letterati, Mandarini, giovani studenti, gente dell’aristocrazia e del popolo, barcaioli di passaggio e bonzi disoccupati che si davano continuamente il turno, quando non si trovavano assieme, tutti domandando sempre le stesse cose, uscendo nelle stesse meraviglie, ripetendo le stesse frasi, le stesse cerimonie, la storia degli stessi pregiudizi e calunnie già tante volte sentiti, e gli stessi lunghi e noiosi complimenti.

Antonino indossò la veste nobile dei Letterati; coltivò, per gli appassionati della flora, un piccolo giardino con specialità esotiche; tolse dal frontone della casa le solite tre lettere: Tien-Tciou-Tang (Chiesa Cattolica) che avrebbe potuto indisporre e armare il fanatismo buddista-confuciano, e vi sostituì: Fao-kuo-kung-koang (Ospizio di Francia), in rapporto alla protezione religiosa delle Missioni Cattoliche (1); (Anche in ciò il Martire seguì l’uso comune della Cina tartara del tempo. I Kung-Koang (edifici pubblici) erano comunissimi in tutte le città lungo le vie imperiali della Cina del 1900, e servirono d’alloggio provvisorio ai Funzionari in viaggio da un luogo all’altro. La casa dove furono rinchiuse a Ti-yuen-fu le vittime del 9 luglio era uno di questi Kung-Koang.) restituì puntualmente le visite; sedé a tavola coi buontemponi; imparò a manovrare i loro stecchini in luogo delle posate; lodò i loro costumi e si mostrò goloso degli intingoli offertigli; in una parola, come i veri Apostoli, si "fece tutto a tutti" per guadagnare tutti alla sua causa, che era la libera propagazione del Vangelo in quelle contrade che conoscevano solo il culto di Confucio, di Laotzè e di Budda.

E l’intento fu ottenuto. La classe influente dei Mandarini e dei Letterati si mostrò onorata della stima e dell’amicizia del "Maestro europeo" e molti del popolo si dichiararono discepoli del Fantosati e vennero ad ingrossare il piccolo gregge dei catecumeni e dei neofiti della città e dei dintorni.

In quel tempo – scrive un testimonio contemporaneo – i Mandarini erano ostili ai Missionari, e perciò sorgevano continue difficoltà. Da ogni parte del Vicariato erano questioni portate dai cristiani, dai Missionari, dai pagani stessi – ai quali era nota l’imparzialità di Antonino – al suo tribunale d’appello ed egli rappacificava questi, consigliava quelli; dava parole e buoni consigli, senza lasciar di ricorrere anche alla virtù della fortezza quando ve ne era il bisogno (Piedilama).

Nelle sue mani i nodi più intrigati venivano a sciogliersi come per incanto, e talvolta bastava una semplice barzelletta, uno spunto di umorismo – che gli fu proprio per tutta la vita – per troncare delle eterne questioni nate e alimentate da animosità o dal capriccio. Così un’antica pecorella del Fantosati aveva pensato di abbandonare i monti dello Scian-kin e andare in cerca di fortuna altrove. Egli che conosceva i pericoli morali cui sarebbe andato incontro il cristiano, e non potendolo, d’altra parte, persuadere in alcun modo a mutar proposito: "Ebbene –gli disse risoluto – se vuoi andare, la via è libera, però non devi negare al tuo antico Missionario un favore. Quando sarai nel nuovo paese, prendi il … primo corvo bianco che trovi e mandamelo " (Silvestri, p.60).

Un’altra volta, essendosi rotta la concordia tra due sposi cristiani, l’uno e l’altro erano scesi a Lao-ho-kow a dir le proprie ragioni. "Io – dopo molto insistere, disse il Fantosati al marito – non trovo altro rimedio che prendere tua moglie e farla monaca, e mettere te in seminario per farti prete".

Tanto i due contendenti come l’uomo del corvo risero di queste uscite impreviste e ritornarono alle loro occupazioni (1) (L’abilità di Antonino nello sciogliere e comporre le questioni più intricate gli meritarono il titolo di Fan-koang-koen (Fantosati-il furbo impareggiabile), titolo con il quale è ancora conosciuto sull’Alto Hu-pe.
La furberia era però per il Martire un mantello di circostanza, la veste ordinaria era – come mi attestava il di lui pedissequo – carità coi cristiani e coi domestici; affabilità e arrendevolezza coi compagni; cortesia e buone maniere colle Autorità e coi pagani: del resto un tal sobriquet nella lingua cinese non ha niente idea di insulto, di offesa: è titolo di onore, e significa: Uomo molto abile.)

 

c) Vicario Generale e Amministratore Apostolico.

L’Alto Hu-pe era stato eretto in Vicariato nel 1870 e – come abbiamo già visto – era stato chiamato a reggerlo il P. Ezechia Banci, già Vicario Foraneo del Fantosati, della Provincia francescana in Toscana. Questi, però, veniva quasi subito traslocato nel Hu-nan, e gli successe, dopo un breve intervallo, Mons. Pasquale Billi di Firenze, appartenente alla stessa Provincia francescana.

Il Fantosati ebbe il gradito incarico di portare al nuovo Eletto le bolle sul Tcia-yuen-kou, ed assisté con un discreto gruppo di cristiani di Lao-ho-kow alla consacrazione fatta da Mons. Volentèri delle Missioni Estere di Milano, e Vicario Apostolico del Hu-nan.

Terminate le feste, Antonino ridiscese in Lao-ho-kow col titolo di Vicario Generale.

Ma il nuovo Pastore non ebbe lunga vita.

L’anno 1878 una di quelle carestie che spopolano intere provincie, desolò la Cina, infierendo in modo speciale sull’Alto Hu-pe. Mons. Billi, logorato da 24 anni di missione, non sopravvisse a tanto strazio, e la notte del 2 Maggio di quell’anno, spirava con queste parole: "Oh, lasciate che io vada a pregare la Madonna per il mio povero gregge!".

Alla morte del santo Vescovo, il cui nome è registrato nel Menologio dell’Ordine al 12 maggio, Antonino prese le redini del nascente Vicariato, e Roma lo nominava subito Amministratore Apostolico (22 giugno 1878)

Sono di questo periodo le maggiori notizie che si hanno sull’attività del Martire.

Urgeva anzitutto venire incontro ai grandi bisogni causati dalla fame, seguita, come di consueto, dalla peste. A tale scopo si alzò dai fondamenti sul Tcia-yuen-kou un Orfanotrofio per i bimbi abbandonati sulle pubbliche vie e per le case deserte; si allargò quello che vi esisteva per le orfanelle; si provvide alla distribuzione di indumenti, viveri, medicinali ed elemosine raccolte con caldi appelli in Europa. Il Fantosati stesso contrasse la peste servendo gli infermi. Ma al termine del flagello la Chiesa dell’Alto Hu-pe ne uscì col prestigio morale molto accresciuto. Come sempre, la carità aveva atterrato più di un ostacolo, e facilitato ai Missionari l’opera di evangelizzazione.

 

Le notizie di questi luoghi – scrive il Martire – sono al momento delle più consolanti. Le conversioni alla religione sono talmente numerose da far meraviglia a noi stessi. Si sono aperte due nuove cristianità nei dintorni delle due città di prim’ordine, Siang-yang e Fan-tceng. Di sette, si sono moltiplicate a 23 le Missioni, che distano un giorno o un giorno e mezzo l’una dall’altra. Inoltre le famiglie catecumene sono 265, e tutti i giorni se ne ascrivono delle nuove. Al presente non bastano tre Missionari.

Ora – continua il Martire – parto per quei luoghi onde fondare almeno quattro scuole e prendere altre case a pigione. Dapertutto vi è un fermento religioso; e i capoluogo invitano pubblicamente e con solennità il Missionario, talmente che bisogna dire: "Digitus Dei est hinc". (Silvestri: Vita, p. 65)

Nello spazio di soli tre mesi novanta famiglie si dichiararono cattoliche e si diedero con fervore ad imparare il catechismo e le preghiere per prepararsi al battesimo.

Le stesse Autorità civili e militari assecondavano l’opera dei Missionari. Avendo il Fantosati visitato il Generalissimo delle forze Armate di tutta la Provincia, e chiestogli di emettere un Manifesto di protezione in favore dei cristiani, questi assecondò subito i desideri del Martire; permise ai suoi sottoposti di abbracciare essi stessi, volendo, il cristianesimo, e proibì agli altri di accostarsi alla casa dove si prega, sotto gravissime pene.

Non si creda però che l’opera di evangelizzazione incontrasse dovunque in questo tempo solo plausi e favori. È legge provvidenziale che le opere di Dio grandeggino sempre tra i contrasti e le opposizioni degli uomini.

Per non tediare il lettore, diremo che quasi sempre e dovunque si ebbe più o meno a lottare contro il fanatismo e i pregiudizi volgari e ad impossessarsi, palmo a palmo, un po’ di regno di Dio.

Ma tutte le difficoltà trovavano un uomo oramai abituato alla lotta e pratico delle vie che conducono infallibilmente alla vittoria. In Cina, come altrove, le prime sconfitte non contano; ed ogni più mediocre villano può sorprendere all’impensata e credere di esser superiore per un momento; ma la vittoria finale è di chi sa guadagnarsela.

Ed il Fantosati, in ciò, non aveva l’uguale: tutto faceva prodigio in sua mano; minacce e preghiere; ordini e consigli; severità ed arrendevolezza; aderenze ed opposizioni.

"Chi gli fu compagno in quell’estreme regioni –scrive un suo biografo – ci dice che, in mezzo alle immense fatiche dell’apostolato, ei soffriva volentieri e con rassegnazione la fame, il freddo, la sete, gli’incomodi della salute, le persecuzioni dei pagani. E prima di accingersi ad un’impresa, ripeteva ai compagni: - Preghiamo, preghiamo; e Iddio benedirà i nostri passi, e soddisferà i nostri voti". (Grifoni, p.11)

"Caro a tutti i Missionari – scrive un altro – i quali avevano in lui il padre affabilissimo ed una guida esperta per l’evangelizzazione, Antonino era pure l’idolo dei cristiani per il suo zelo delle anime. La vita di Missionario gli era carissima, ed anelava di aprire nuove cristianità; al quale scopo spronava pure lo zelo dei suoi Missionari. Egli poi ne aveva dato l’esempio aprendo nei pressi di Lao-ho-kow nuove Missioni, cosicché, di quattro o cinque famiglie che allora vi erano, si contarono poi mille e più neofiti" (Piedilama).

 

 

 

Capitolo quarto - Lavori, lotte e avventure del Missionario

Sommario
a) La cattedrale del Tcia-yuen-hou.
b) Antonino ritorna improvvisamente in Italia
c) Una questione difficile e un uomo abile
d) La testa del Martire messa a prezzo di 100 once d’Argento.

 

 

a) La cattedrale del Tcia-yuen-hou.

    Nel mese di Aprile dell’anno 1890 si tenne in Hankow, tra i vescovi della Cina centrale, il Sinodo regionale, a cui il Fantosati intervenne come Amministratore Apostolico del Hu-pe Nord Ovest. Durante il Sinodo raggiunse il successore di Mons. Billi, Mons. Ezechia Banci, col quale Antonino, terminate le sessioni sinodali, risalì in barca a Lao-ho-kow.

    Il nuovo Vicario Apostolico, assente da venti anni, fu molto sorpreso nel vedere l’Alto Hu-pe religiosamente trasformato.

    "Giunti in Lao-ho-kow – egli scrive – ci recammo a far visita, vestiti con abiti vescovili, alle autorità civili e militari della città. Fummo ricevuti con molti onori e ci restituirono la visita con grande apparato, cosa che raramente accade in Cina. Chi avrebbe mai creduto venti anni addietro a quello che noi vediamo?" (Silvestri, p.70).

    Anche Mons. Banci conobbe di aver bisogno nella direzione del Vicariato di un uomo esperto come Antonino, che si era ormai reso necessario al bene comune, e quindi si affrettò a crearlo suo Vicario Generale.

    Il Padre Everaerts scrive di questo periodo: "Come Vicario Generale fu di grande aiuto al suo vescovo; lavorava con grande zelo e risolutezza al progresso del Vicariato, aiutava con tutti i mezzi possibili i Missionari nelle loro relazioni con i catecumeni, coi neofiti; dirigeva l’orfanotrofio di Lao-ho-kow, accrebbe l’opera della Santa Infanzia ed edificò sul Tcia-yuen-kou una grande chiesa in onore di S. Francesco " (Silvestri, p. 71).

    Conosciamo già questo luogo così intimamente legato alla memoria del nostro Martire. Fu qui che al tempo dell’Imperatore Yung-tgen una discreta colonia di fedeli, inseguiti, come quelli dello Scian-kin, dalla stessa feroce persecuzione, salirono dalla Valle del Han, alzarono una cappella al S. Cuore, e attorno ad essa si formò una ferventissima cristianità. Qui abitarono molti santi ed illustri missionari, tra cui i Gesuiti Giuseppe Labbe che prese possesso del luogo; De Nevale; Roy; de Lamathe, alla cui morte si udirono melodie angeliche; i Lazzaristi Francesco Regis-Clet; Giangabriele Perboyre ecc.

    Il luogo santificato da tante memorie rimase sempre, fino a questi ultimi tempi, il cuore delle Missioni dell’Alto Hu-pe, col Seminario indigeno, orfanotrofio, catechistato, scuole ecc.

    Mancava però una chiesa sufficiente per i duemila cristiani di quei monti, essendo la cappella del S. Cuore inadeguata al bisogno. Il Fantosati aveva già raccolto i materiali e messo i fondamenti della nuova chiesa. Mons. Banci, venuto, approvò il disegno e così fu messo mano alla cattedrale dell’Alto Hu-pe. Il tempio a tre navate e a stile romanico, misurava una superficie di 100 mq. E si slanciava ad oltre 30 metri di altezza. I lavori furono tutti eseguiti sotto la direzione del Fantosati, e – come scrive un Missionario contemporaneo - "considerando il luogo selvaggio, l’opera dei rozzi artisti, sprovvisti anche degli strumenti più necessari, siamo costretti a pensare se fu maggiore l’audacia di chi ideò il tempio o la pazienza nell’averlo condotto a fine". (Silvestri: "Vita", p. 73).

     

     

b) Antonino ritorna improvvisamente in Italia

Dopo tante occupazioni e preoccupazioni il Martire si sentì esausto di forze, e chiese ed ottenne facilmente un breve periodo di riposo da prendere in Italia. Così dopo oltre 2 anni egli nel settembre del 1888 ritornava in patria accompagnato da due giovani Seminaristi del Tcia-yuen-kou, primizie del francescanesimo indigeno cinese, uno dei quali – il P. Bonaventure Tzen O.F.M. – doveva cader vittima dei connazionali, che gli troncarono la testa il 18 Maggio 1931.

Il Fantosati restò in Italia appena otto mesi, cioè fino al giugno dell’anno 1889. In questo tempo salì il monte della Verna, e visitò la grotta di Lourdes. Si recò poi a Parigi a perorare gli interessi dell’Alto Hu-pe presso l’amico Mons. Proton, Procuratore delle Missioni Francescane, e quindi, imbarcatosi sul Djemmah, si mosse di nuovo alla volta della Cina, soffermandosi per breve tempo a visitare i Luoghi Santi.

c) Una questione difficile e un uomo abile

Giunto in Han-Kow, verso l’agosto del 1889, vi trovò una lettera del suo Vicario Apostolico, in cui veniva pregato d’interessarsi d’una intricatissima causa religiosa.

Un prete cinese, Paolo Siü, erasi recato nella città prefettizia di Jüng-Yang, all’estremità Nord del Vicariato, dove alcune famiglie pagane desideravano di convertirsi. Saputo ciò il Mandarino, istigato dai Letterati e dai bonzi, impose ai principali della città di espellere immediatamente il Missionario, di incenerire la casa dove questi aveva preso alloggio, e consegnargli il padrone della medesima. I capi, seguiti dal solito popolaccio, passarono subito all’esecuzione degli ordini, e delusi per la fuga del Missionario, catturarono il proprietario dell’alloggio, gli fu messa una canga (1) (Strumento di pena cinese consistente in due pesanti tavole in legno fermate attorno al collo.) e condotto per le vie più frequentate della città clamante praecone: "Così verrà fatto a chi darà di .

nuovo ricetto al Missionario europeo".

La causa, strascicatasi per i vari tribunali del Hu-pe era stata finalmente portata in appello, ma le autorità superiori si ravvolgevano nel comodo manto dei soliti cavilli, senza venire ad una soluzione soddisfacente. Nelle mani del Console, non ebbe una sorte migliore. Esaurite le pratiche diplomatiche, si attese il ritorno di Antonino che, con la sua nota abilità, condusse presto l’affare a termine. I Mandarini si videro cadere ad una ad una, come per incanto, le frecce di mano; il lungo litigio venne composto, restando a noi la casa e – quello che più importa – la libertà di predicare il Vangelo anche in quella città, dove chi scrive passò gli ultimi dieci anni della sua vita missionaria, che oggi è centro di molte fiorenti Missioni.

In questo tempo il Fantosati comprò a Kiüng-tciou la casa che anche attualmente vi possiede la Missione, ed ultimò i lavori della bella chiesa di Lao-ho-kow, dedicata a S. Giuseppe, "dove nei giorni di festa si vedevano adunati 1000 e più cristiani a cantare le lodi del Signore, con buon esempio dei pagani, i quali spesso si convertivano al Vangelo".

Fu in mezzo a queste occupazioni che al Beato giunsero da Roma le Bolle della sua elezione a Vicario Apostolico del Hu-nan meridionale.

d) La testa del Martire messa a prezzo di 100 once d’Argento.

Alla dignità Episcopale di Antonino, sono legati alcuni avvenimenti che servono a delineare la Cina di mezzo secolo fa [cioè, ora, di un secolo fa], e che noi riassumiamo dagli Archivi del Vicariato.

Un mattino adunque, al destarsi, il Martire vide un discreto rotolo di carta nella sua camera. Era scritto a grossi caratteri. Il foglio diceva n sostanza:

 

Gli Europei –leggi i Missionari – razza di tigri e di demoni hanno mandato dei pessimi cristiani in tutto il Distretto di Siang-Jang a gettare il veleno nei pozzi per cui ne muoiono senza numero. Sebbene molti di quei pessimi cristiani siano stati presi e consegnati ai Mandarini, questi non se ne danno per intesi, per cui il popolo è molto irritato; frenarlo è impossibile, giacché per causa degli Europei – leggi sempre i Missionari – tutti soffrono: è provocata l’ira dal cielo, il popolo grida vendetta. Se non ci decidiamo ad incendiare, a devastare la chiesa cattolica, e ad uccidere i capi della religione e tutti i loro seguaci, tra breve moriremo tutti di veleno.

Noi pertanto, per il giorno 20 di questa luna, a mezzanotte, stabiliamo quanto segue: 1) che uno dei capi conduca 300 soldati ad incendiare la chiesa di Lao-ho-kow; 2) che altri due capi conducano 300 soldati a prendere il Prefetto di Koang-hoa per giudicarlo, mentre altri 300 militi dei più coraggiosi metteranno fuoco alla città, e 200 andranno a combattere coi soldati di terra e di fiume. Io, duce, guiderò 300 militi. Ciascuno porti erba di assenzio, bombe e spade affilate per abbruciare Lao-ho-kow, distruggere la chiesa cattolica, prendere il capo della religione, il demonio Fan (Fantosati) e ucciderlo, acciocché sia adempiuto il volere dei numi, e sia data soddisfazione al popolo.

A chi potrà prendere quel pessimo capo, saranno date 100 once d’argento: ma se qualcuno lo salverà con la fuga, tutta la famiglia di lui sarà sterminata senza perdono.

Tale è il mio comando, che deve essere puntualmente eseguito.

Dato clandestinamente sotto la Dinastia Tartare, l’anno 18 del regno di Koang-Siü il giorno 2 della luna intercalare.

Un mastodontico sigillo a tinta rosso fiammante racchiudeva una sigla illeggibile. Il congiurato che faceva pervenire nelle mani del Fantosati quell’altisonante proclama, vi aveva aggiunto di proprio pugno:

 

Protesto che gli Europei (i Missionari) sono innocenti, ma non posso contravvenire all’ordine di diffondere le copie di questo editto. Porto segretamente l’ultima copia alla Chiesa affinché possiate mettervi in guardia. (Silvestri, Vita, p. 78)

Per meglio penetrare il velame delli versi strani di questo scritto fa d’uopo ricordare alcuni pregiudizi comuni nella Cina di allora, servendoci degli appunti dello stesso Martire.

 

L’anno 1892 – scrive – nei primi di luglio, a cagione di eccessivi calori e della siccità di vari mesi, sulle sponde del fiume Hau (forse: Han?) – e specialmente nella Prefettura di Siang-Jang – si sviluppò un’epidemia che in poche ore mandava all’altro mondo centinaia di questi poveri cinesi, nonostante la profusione di farmachi, di salassi con schegge di vasi di porcellana, di sacrifici e scongiuri ai loro numerosi dei, e mille e mille altre superstizioni.

Si cominciò allora a spargere la voce che la causa di tutti i mali erano i Missionari europei che con le loro medicine avvelenavano i pozzi.

Tali calunnie trovavano piena fede nel popolo e, ciò che fa più meraviglia, le autorità stesse, civili e militari, al primo sentire di simili avvelenamenti, emanarono pubblici editti comandando di coprire tutti i pozzi, sbarrandoli con catene e catenacci e facendoli guardare giorno e notte da custodi. Solo ogni mattina si aprivano perché ognuno facesse provvista d’acqua. Pure, seguitando il morbo a far vittime, abbandonati i pozzi, si beveva solo l’acqua del fiume Han, che bagna, col suo tortuoso cammino, tutti i luoghi più decimati dal colera.

Un bel giorno, centinaia di persone si videro in Lao-ho-kow dirigersi verso una famiglia la quale, dicevano, aveva scoperto il nuovo espediente usato dagli Europei per avvelenare i Cinesi e che sarebbe consistito nel far volare piccoli fantocci di carta con in mano tre pillole di potente veleno, che spargevano perfino nella caldaia ove era a bollire il riso il quale -–essi dicevano – in un momento diventava rosso. Difatti la donna di casa mostrava a tutti il misterioso fantoccio trovato testé nella caldaia e narrava aneddoti e circostanze aggravanti su di noi Missionari con tale enfasi che tutti i presenti, fremendo d’ira, corsero dal Mandarino, col corpo del delitto in mano, domandando pronta vendetta degli autori di tale magia. Il Mandarino si trovò assai imbrogliato alla vista di quell’ometto di carta variopinta e cercò di persuadere a non prestar fede a simili spauracchi, ma tumultuando la turba, promise che avrebbe fatto le più accurate indagini e punito gli autori.

In questo frattempo, un povero pagano, venditore ambulante di farmachi per il mal d’occhi e cerotti per piaghe, fu preso da questa plebaglia come avvelenatore dei pozzi e nostro emissario, venne percosso con pietre, bastoni e calci e, tutto grondante sangue, venne trascinato dal Sottoprefetto, dove ebbe cento bastonate e venne quindi rinchiuso in tetra prigione.

Né fu questa la sola vittima di tante calunnie; basti dire che solamente tra Siang-yang e Lao-Ha-Kow, che distano fra loro circa centodieci chilometri, furono trovati ben sei cadaveri sulle sponde del Han, con al collo la scritta: avvelenatore di pozzi!

 

La popolazione, fatta audace per tanti omicidi commessi impunemente e in pieno giorno, sotto gli occhi stessi dell’autorità, si organizzò in 36 reggimenti di 300 persone ciascuno, i cui capi, tutti Letterati, stabilirono il giorno e il luogo della generale insurrezione. Ma la Provvidenza vegliava su di noi; di nottetempo un emissario intromise nella mia casa, per le fessure della porta, una copia di quegli ordini segreti, avvisandomi che sulla mia testa pesava una grossa taglia, e che facessi pr4sto a nascondermi per fuggire all’eccidio.

I settari, sapendosi scoperti, dalla vallata del Han salirono, armati con bandiere, a Tze-kin-tong, piccolo paese vicino al Tcia-yuen-kou, dove io mi trovavo, ed il 3 settembre mossero ad un primo assalto, mentre i cristiani – circa 1500 – fuggivano tra le selve e nei burroni, conducendo seco i loro bestiami e quelle poche cose che potevano portare.

A tal vista, radunati circa cento cristiani, dei più coraggiosi e robusti, mi ritirai sopra un altissimo monte circondato da rupi e macerie accumulate dagli antenati per difesa in tali circostanze. In due giorni si riadattò ogni cosa a guisa di fortezza, si fecero le porte nuove con feritoie, e si radunarono quante armi e munizioni si potevano trovare. In tutta fretta si alzò una capanna, ove celebrai le sacre funzioni predicando a quegli ottimi cristiani il coraggio e la confidenza in Dio, Pronti – dietro l’esempio del Perboyre, il luogo del cui combattimento e del martirio non era molto lontano – se fosse necessario, a confessare la fede.

Ma il buon Dio non permise che cadessimo preda di quelle belve umane. Improvvisamente e di nottetempo, giunse sopra quegli alpestri monti il Taotai o Commissario Imperiale di Siang-yang, con altri Mandarini civili e militari, e con 300 soldati armati di fucili europei, i quali, senza colpo ferire, misero in fuga quei vigliacchi predoni.

Ritornata così una certa tranquillità, adunatici nuovamente nella Residenza di Tcia-youen-kou, il giorno 1 settembre – festa del nome di Maria e anniversario del martirio di Perboyre – si poté fare tranquillamente, sebbene senza pompa e solennità, la mia consacrazione episcopale senza nuovi incidenti (1) [Vedi: Le Missioni Cattoliche di Milano, N. 20,21 e 22 dell’anno 1893. Essendo la relazione troppo lunga, è stata da noi in parte sunteggiata.]

Quel giorno, la gioia e le lacrime si unirono assieme a festeggiare il nuovo Vescovo, che non perdendo mai, neppure nei momenti più impressionanti, il suo buonumore e lo spirito di gentile ironia, ripeteva: "Hu-ze pelio hoaug tso i pu", letteralmente: ho la barba bianca eppure fo ancora un altro passo; proverbio cinese ch vuol dire: andare a seconde nozze.

Quanto il Fantosati fosse amato, apparve al momento della sua partenza per il Hu-nan.

A Tcia-yuen-kou più di 3000 persone gli sbarrarono il passo, e prima di muoversi dové promettere di tornare presto in mezzo a loro; ed in Lao-ho-kow si ripeterono i pianti dei buoni miletani, quando accompagnavano l’apostolo Paolo alla nave.

Il futuro Martire lasciò definitivamente l’Alto Hu-pe – sua seconda patria – nel novembre del 1892; e sopra una barca, scortata da una cannoniera d’onore, mandatagli dal Viceré Tciang-ige-tong, discese in Han-Kow, dove giunse verso la fine di detto mese, e da dove, pochi giorni dopo si mosse per raggiungere la nuova porzione di vigna che la Provvidenza gli aveva assegnata a governare.

 

 

Capitolo quinto - Nel Hu-Nan

Sommario
a) Un po’ di etnografia
b) Attività del Martire.
c) Augurio che non si avvera.
d) Il vecchio guerriero impotente.
[nel testo: imponente]

 

a) Un po’ d’etnografia.

IL Hu-nan, o regione a sud del lago, in riguardo al Tong-ting, è una Provincia della Cina a mezzogiorno del Hu-pe. Gli altri limiti sono: ad est il Kiang-si; ad ovest il koang-si; a sud il Koang-tong e il Koang-si; a ovest il Koei-tciou e il Se-tcioan.

La Provincia gode di un clima eccezionalmente buono, ed è ricca in legname, in carbon fossile, in ferro, in olio di sesamo, in riso, di cui si fanno due raccolte all’anno, in arsenico, in mercurio. In estate, specialmente al crescere e all’affluire delle acque del Fiume Azzurro nel Tong-ting, sono migliaia i battelli che s’incrociano su questo lago; sono centinaia di migliaia i barcaiuoli che stazionano e vivono in quei pressi e milioni di tonnellate rappresentano il commercio annuo che si fa a spese del detto Tong-ting.

Il Hu-nan ha una superficie di 216.000 Kmq e una popolazione di circa 21 milioni, occupati principalmente nel piccolo commercio e nell’agricoltura, sopra un suolo ricco nei piani e nelle vallate, povero altrove. Tutti i viaggiatori ed i missionari si trovano d’accordo nel dire che i Huananesi sono i più xenòfobi di tutta la Cina. Tcian-scia, capitale della Provincia, era, nel periodo in cui siamo, la principale fucina del movimento antistraniero e anticristiano dell’Impero di Mezzo, e in gran parte responsabile dei fatti del 1900.

Anche qui il cristianesimo conta qualche secolo di vita, ma agitati da continue persecuzioni, pochi erano i cristiani fino al giorno in cui il P. Giuseppe Rizzolati, dell’Ordine dei Frati Minori, fu fatto Vicario Apostolico del Hu-hoang, che comprende le due provincie Hu-pe e Hu-nan, soggette ad uno stesso Viceré. Nell’anno 1856 il Hu-nan fu separato ecclesiasticamente dal Hu-pe, e pochi anni dopo fu diviso in due Vicariati: quello Settentrionale passato agli Eremitani di S. Agostino e il Meridionale rimasto ai Francescani. Tale era ecclesiasticamente il Hu-nan quando vi andò Mons. Fantosati.

Egli giunse a Heng-tciou, sede del Vescovo, verso l’Immacolata, accoltovi dal Vicario Apostolico dimissionario, Mons. Semprini di Dongo, dai Missionari, Seminaristi e fedeli, ai quali era già nota la fama dell’abilità e lo zelo del nuovo Pastore.

 

 

b) Attività del Martire.

Con Lettera Pastorale il Vescovo espose il suo programma che avrebbe svolto nel nuovo campo d’azione e, senza perder tempo, poco appresso iniziò la visita del gregge sparso sopra un territorio immenso, cominciando dalla Prefettura di yung-tciou e, ridiscendendo per Tciang-ling e Lei-yang a Heng-tciou-fu, un percorso di circa 200 Km per terra e 350 per fiume.

Dopo tre anni ripeté la visita in questo distretto, mentre il secondo anno si portò al Nord del Vicariato presso Siang-t’ang e Tciang-scia e terminando con un terzo viaggio la visita dell’intero Vicariato.

Testimoni oculari di queste corse apostoliche affermano che sebbene il Martire, per il prestigio della dignità vescovile, viaggiasse con un certo decoro, non cercò mai dei comodi straordinari, né volle sèguiti presso di sé, ma uno o due catechisti, indispensabili anche all’ultimo dei Missionari in un paese pagano.

Vestiva umilmente e semplicemente e solo per le circostanze di visite e di ricevimenti teneva pronte delle vesti di cerimonia. Nel cibo era di facile contentatura e non amava che i cristiani facessero delle spese straordinarie per lui. Del resto, affabile e manieroso, accoglieva paternamente tutti quelli che avevano bisogni da esporre, dubbi da sciogliere, litigi da pacificare.

In questo egli era sempre il solito Koang-Koen di Lao-ho-kow e le parti contendenti, dopo una sentenza del Vescovo, si trovavano quasi sempre pienamente contente. Durante la visita predicava ogni giorno e, sebbene la lingua del Hu-nan differisca alquanto da quella del Hu-pe, pure era compreso ed ascoltato compiacere. La facilità del dire, aumenta collo studio e colla pratica e i molti esempi bene applicati gli tenevano l’uditorio sospeso e attento. Aiutava anche talvolta i Missionari nel preparare i neofiti alla confermazione ed ascoltava le confessioni. I cristiani, che nel Fantosati trovarono il vero padre, gli si accostavano con fiducia, gli narravano i propri interessi, gustavano i racconti della sua lunga vita missionaria e ognuno ritornava a casa migliorato. Quando talvolta se sue vedute non erano seguite, non si turbava ma lasciava che il tempo gli desse quasi sempre ragione. Quanto poi godeva di vedersi presentata l’occasione di soffrire qualcosa per Gesù Cristo, altrettanto soffriva nel vedere nelle difficoltà le sue pecorelle, temendo che la persecuzione trovasse degli animi troppo deboli e che potesse fare degli apostati in luogo di confessori e di martiri.

Le sue relazioni coi pagani erano guidate dalle stesse vedute che ebbero così bella sanzione nel porto di Lao-ho-kow. In via ordinaria, l’affabilità era il suo distintivo, ma quando si trattava di salvare interessi della religione e di riparare i diritti violati, la giustizia doveva avere il suo corso e nel Martire trovava sempre il suo paladino. Per questo, più di una volta egli incorse nello sdegno dei tristi; ma al Divin Salvatore non accadde lo stesso?

Il Martire aveva trovato il Hu-nan economicamente più povero del Hu-pe; anche qui però, come a Lao-ho-kow, non fu mai avaro verso chi si mostrò veramente bisognoso di aiuto. I poverelli lo trovavano sempre col cuore e – quando poté – colla borsa aperta. Conservò la bella usanza dei suoi predecessori di distribuire al Capodanno cinese del riso alle famiglie povere, perché anche esse potessero partecipare alla gioia universale di quei giorni. Distribuì in una volta 550 dollari, ricevuti allora dall’America, ad un gruppo di poveri cristiani. Coi Missionari voleva che le spese fossero giustificate. Quando il danaro è speso secondo l’intenzione di chi lo mandò – soleva dire – niente timore, e confidenza nella cassa della Provvidenza. (Silvestri: Vita, p. 111).

Per rimediare alla mancanza di Missionari, il Vescovo aprì in vari luoghi scuole catechistiche, chiamandovi dei buoni maestri, ed allettando gli scolaretti in grande maggioranza poveri, con dar loro gratis, come egli dice, "una scodella di riso". Spronò pure i suoi dipendenti a fare altrettanto.

 

Per la scuola, sia maschile che femminile – scriveva ad un missionario – stabilisco il numero di 15, ma si possono dare circostanze che con l’aggiunta di uno, due, tre, ecc. si potrebbe ricavare molto bene; quindi V.P. ne aggiunga altri secondo il bisogno, facendo fare la minestra più brodosa perché possano satollarsi tutti. Solo sarà premura di V. P. che appena hanno imparato le necessarie preghiere e il modo di bene accostarsi ai SS. Sacramenti, siano rimandati subito per dar luogo ad altri. (Lettera dell’Ottobre 1898).

Al vescovo stava molto a cuore l’opera dei Battezzatori. Egli la trovò fiorente nel Hu-nan e no ebbe che a continuare la bella tradizione. Anche la S. Infanzia ebbe le sue cure paterne, e spesso si recava negli Orfanotrofi di Hoang-scie-wuan e Ying-tciou in mezzo alla allegra e chiassosa truppa delle orfane ad insegnare loro la dottrina cristiana.

 

 

 

c) Augurio che non si avvera.

Verso la fine dell’anno 1895 il Martire scriveva all’antico Vicario Foreneo Mons Banci: In mezzo a tanti trambusti e grattacapi abbiamo sepolto pure questo anno; auguriamoci quindi il 96 pieno di letizia sotto ogni rapporto, se piacerà al Signore.(Silvestri, Vita, p. 118)

Ma l’augurio non s’avverò. Gli ultimi anni del Martire furono seminati di croci fabbricategli specialmente dalle mani dei Mandarini del Hu-nan, invasi in quel tempo da un parossismo di odio antieuropeo e anticristiano.

Da tutte le parti del Vicariato erano notizie di lotte occulte e manifeste, di opposizioni e di violazioni dei diritti, di un ostinato ostacolare ogni progresso di propaganda. L’odio mandarinale non sempre esplodeva all’aperto, ché la tattica più gradita di questa gente fu sempre quella di congiurare e di colpire tra le tenebre e con la maschera al viso. In via ordinaria erano piccoli puntigli e raggiri di tribunale, d’accordo coi Letterati e i capi del popolo e così si evitava di presentare dei lati scoperti ai colpi della giustizia ed all’azione dei Consoli e si otteneva ugualmente l’effetto di paralizzare ogni azione del Missionario. Il popolo ed i Mandarini – scrive il Martire – tutti ci perseguitano e per ogni famiglia che si converte seguono vessazioni di ogni sorta. Se almeno fossimo virtuosi potremmo sperare nella palma del Martirio.

Già da due mesi – continua il Vescovo – i soliti nostri nemici cominciarono a molestare i poveri neofiti di Lei-yang ed io stesso, trovandomi colà, dovetti interrompere la sacra visita; e più di quaranta assassini mi aspettarono un giorno intero in una via occulta per trucidarmi, ma come Dio volle, passai per un’altra cristianità: per quella ove fu preso ed incatenato il Ven Giovanni da Triora ottanta anni fa e così, per speciale predilezione del nostro confratello, senza saperlo potei evitare il grande pericolo.

Ora quel luogo è in piena rivoluzione. Il 20 corrente ridussero in cenere la chiesa e svaligiarono il custode che, tutto lacero, fu appena in tempo di salvarsi coi suoi. Altre 10 famiglie furono spogliate e ridotte alla più squallida miseria ed ora non hanno altro rimedio che ricorrere a me. Non mancai di avvisare il Mandarino, ma senza alcun risultato. Mandai anche il Missionario di quella cristianità per avvertirlo del gran pericolo che correvano le altre chiese del suo distretto, ma non si volle ricevere; e così i ribelli si fanno audaci e, senza alcun timore, incendiano e distruggono intere cristianità. (Silvestri, p.119 e segg.)

La causa venne poi portata agli alti tribunali della Capitale del Hu-nan e finalmente, dietro l’intervento del Console e del Ministro di Francia, il Martire poté avere una certa soddisfazione.

Ma non era ancora chiusa questa vertenza che un’altra questione più grave veniva a mettere nuovamente in scompiglio la Chiesa del Hu-nan.

Alcuni della città di Lei-yang si erano fatti cristiani e si sentiva il bisogno di avere una casa per l’abitazione del Missionario e per le preci in comune; ma nonostante i trattati che autorizzavano la compra di immobili, le autorità si mostravano ostili a tali contratti e nessuno osava dar la propria casa alla Chiesa , sia pure a condizioni vantaggiosissime. Ma nell’anno 1898 si fece cristiano un satellite e questi, più coraggioso, sfidò le ire mandarinali e così fu comprata una casa discreta che fu trasformata in chiesa. Tutto sembrava ormai accomodato e tranquillo e il Fantosati si era recato a vederla. Quando un bel giorno si seppe arrestato il catecumeno tribunalista e un cristiano e un pagano, mediatori della compra, tutti e tre condotti ammanettati come grandi delinquenti, nelle carceri della Capitale. Il pagano poté, o forse fu fatto fuggire. In quanto agli altri due il Vescovo ricorse alle autorità di Heng-tciou-fu che si misero tosto al riparo dicendo che i delitti dei rei erano anteriori alla loro entrata in religione e che quindi nulla ci aveva a che fare la Chiesa Cattolica. Il Vescovo rispose che in tal caso i supposti rei avrebbero dovuto arrestarsi e subire la pena a suo tempo, mentre erano stati lasciti tranquilli fino al loro ingresso in religione e alla vendita della casa incriminata, che evidentemente costituiva tutto e solo il loro delitto.

Le ragioni del vescovo erano evidenti e inoppugnabili, capaci di arrestare chiunque sulla china dell’ingiustizia e dell’illegalità. Ma il vento spirava a persecuzione. Vedute inutili tutte le pratiche, il Vescovo mandò due maestri con una lettera per il Viceré a Tciang-scia, ma non ebbe alcuna risposta: vi mandò un suo Missionario, ma inutilmente. Vedendosi chiuse le vie pacifiche e tutte le porte della giustizia ordinaria, rimise la pratica nelle mani del console di Han-kow; ma neppure qui ebbe esito felice. Era il tempo della guerriglia fatta a tradimento che rende impotenti i capitani più valorosi. Il Fantosati che aveva vinto in vita sua tante battaglie del genere, non poteva darsi pace di dover posare le armi come un impotente e, ripreso coraggio, riallacciò le pratiche colle Autorità di Heng-tciou-fu per proprio conto. Anche questa volta l’ostinazione era al colmo. Fu in uno di questi colloqui col Tao-tai di detta città che il Vescovo disse, senza tanti eufemismi, le proprie ragioni e quelle della giustizia. Il Mandarino, secondo un uso tanto antico quanto comodo, si disse vittima dell’europeo e gli giurò odio e vendetta. [(1) Il catecumeno fu condannato al carcere a vita. Un giorno la povera vedova –diciamola così – del carcerato andò a sfogare il dolore ai piedi del Fantosati, che le disse: "Fatti animo, donna; quando io sarò ucciso e salito al cielo, tuo marito uscirà di prigione". Così realmente avvenne. (Silvestri, p.35).]

Un insolito sgomento affiora in tutte le lettere del Martire scritte in questo tempo.

Il vecchio guerriero era ridotto all’impotenza e l’onore del passato lo consigliava ad eclissarsi.

D’altra parte la voce del dovere lo riteneva al suo posto.

Una volta fu udito dire al suo vicario generale Quirino Henfling: "Padre, che si sta a fare qui? Facciamo fagotto e andiamocene".

"Ebbene – rispose il P. Quirino – lei avanti ed io dietro".

"NO, no – soggiunse il Vescovo – qualcuno deve restare. Basta, tiriamo avanti, se questa È la volontà di Dio". (Silvestri, p.105)

 

 

Capitolo sesto
La figura del Pastore, Superiore e Martire

Sommario
a) Il Pastore buono.
b) Il Pastore zelante.
c) Il Pastore modello.
d) Figura del Martire.

 

a) Il Pastore buono

Una delle doti più spiccate del Martire fu la bontà. Ne abbiamo avute più di una prova. Non resta che documentare maggiormente con la testimonianza dei Missionari contemporanei.

Uno di questi – il P. Benedetto Francini d’Arezzo succeduto al P. Fantosati nelle cristianità "della valle del carbon nero" e morto anch’egli pochi anni fa nel Tcia-yuen-kou in fama di santo – così attesta: "Durante la vita apostolica del Fantosati non ho sentito nulla in contrario riguardo al suo dovere di Missionario; ho sentito anzi che molti lo lodavano per la sua carità e pazienza verso un cristiano scandaloso, il quale non solo non ascoltava le ammonizioni del Padre, ma gli si rivoltò ferocemente e mi pare che lo tirò anche per la barba e lo maledisse.

Esercitò la carità e la pazienza coi Missionari, senza però mancare al proprio dovere. Coi Mandarini poi, usò sempre affabilità ed amicizia a vantaggio della religione; per cui, durante tutto il tempo che egli fu Vicario Generale si poté godere perfetta pace.

Aveva poi una devozione speciale per la Madonna: era insomma un ottimo religioso e Missionario e se Mons. Banci era il superiore dei corpi, il P. Antonino era quello dei cuori e delle anime" (Silvestri, p. 212).

Uno degli orfani raccolti dal Martire e che poi giunse alla pienezza del Sacerdozio colla consacrazione a Vescovo per le mani di Pio XI nell’Ottobre memorando del 1926, Mons. Odorico Tceng, così scriveva all’autore di questo libro: "Di buon grado vengo a soddisfare al suo desiderio di dire qualcosa del Fantosati. A ciò, oltre il resto, mi spinge una speciale ragione; ed è che per mezzo del Martire il Signore si degnò usare con me tanta misericordia di avermi fatto non solo da pagano cristiano, ma di più religioso e sacerdote. Fu infatti il Fantosati, allora Vic. Generale e Procuratore a Lao-ho-kow, che durante la carestia del 1878 mi raccolse orfano di circa sette anni, mettendomi prima nella scuola locale e poi all’orfanotrofio di Tcia-yuen-kou.

La vita adunque ordinaria del Fantosati era, a mio giudizio, piena di grandi opere; e la sua conversazione con tutti affabile e all’occorrenza santamente astuta. Le sue virtù speciali mi apparvero: buon senso, prudenza, fortezza e anche magnanimità. L’affabilità gli restò ancora dopo fatto Vescovo. Ricordo che il giorno della sua consacrazione, passando davanti al refettorio dove noi seminaristi sedevamo consumando il pasto fattoci preparare da lui, aprì un poco la porta e sorridendo disse: -Moute tzae iah? – complimento popolare cinese che vuol dire: - Non vi ho dato nulla di buono, eh?" (Silvestri, p. 211).

"La sua generosità gli accresceva intorno ogni giorno il numero dei clienti. Se anche oggi la Chiesa è in grande onore e stima presso i Mandarini e le principali famiglie (dell’Alto Hu-pe) è tutto merito della saggia direzione e della prodezza del Padre Antonino". (Da lettera di Mons. Everarts all’Autore).

b) Il Pastore zelante

Il Martire non pensò mai che la bontà potesse essere disgiunta in un Pastore dallo Zelo. Una bontà floscia, arrendevole sempre, amante del quieto vivere può piacere ad un gregge senza slancio e senza ideali. Ma il vero tipo del Buon Pastore sarà sempre la bella Parabola evangelica, dove sono anche descritti i doveri di chi fu messo a capo del gregge.

Antonino fu anche in questo un modello.

"Il 18 maggio del 1899 – scrive un Missionario del Hu-nan – feci il mio primo ingresso nella residenza vescovile di Huang-scia-wan, da cui l’Ill.mo Vescovo era assente già da un mese, occupato nella visita delle cristianità di Lei-yang e di Tciang’lin. Dopo alcuni giorni, ecco una sua lettera che mi consolava in questi termini: Ella forse, non appena mise il piede nella nostra sede episcopale, si sarà turbato d’animo vedendo la povertà da cui siamo circondati, sia nelle fabbriche che negli utensili: si rallegri però, carissimo Padre, che quanto più è lacero il nostro vessillo, tanto meglio imitiamo Gesù Cristo fatto per amor nostro povero ed esuriente [= affamato?].

L’ill.mo Monsignore, il giorno 4 Giugno, su piccola barchette per uso carbone, ritornò a Huang-sci-wan. Salito sulla riva, benché fosse pronta la lettiga, volle camminare a piedi fino alla residenza e direttamente salì nella cappella a visitare il SS. Sacramento. Io e il Veneratissimo P. Quirino Henfling accompagnammo il vescovo, che dopo l’adorazione entrò nel suo appartamento. Quivi con tutta l’affabilità che gli era propria e con grande espansione di cuore narrò ciò che era stato operato durante la sacra visita pastorale. –Oh! –diceva- se avessi alcuni buoni Missionari da mandar là in quei luoghi, quante anime si potrebbero lucrare! O buon Dio, manda gli agricoltori in questa vigna!

Nella vigilia dell’assunzione si portò a Nan-siang, dove allora io ero Missionario. Arrivò in forma semplicissima, cioè con quattro portatori di lettiga, un servo e due muratori che dovevano riparare qualcosa nella chiesa da poco edificata. Io gli avevo preparato una camera al piano superiore della casa, ma volle rimanere a basso in una stanza umida, benché affetto di malattia alle gambe. Mi diceva:- Perché debbo molestare il Missionario? Per due o tre notti, anche a rimanere qui, non c’è da temere-

Essendo la cristianità di Nan-siang assai numerosa, moltissimi confluivano alla chiesa per le confessioni e Monsignore si prestò loro fino a notte inoltrata. Nel giorno della festa predicò al popolo, amministrò la Cresima e dopo la funzione parlava coi cristiani affabilmente e dava loro buoni suggerimenti.

Nella chiesa del S. Cuore di Gesù celebrò solennemente la festa del N. P.S. Francesco: chiamò i Padri più vicini per l’assistenza e nella predica encomiò la povertà del Patriarca. E con ragione, perché egli stesso l’amava molto e povero appariva nel vitto e nel vestito, esortando pure i suoi Missionari a far lo stesso.

Io fui sgridato una volta perché, senza licenza, avevo comprato un po’ di seta per una veste. Nella sua stanza non solo non vi era alcuna cosa preziosa, ma anzi uno dei muri era spaccato da cima a fondo ed ai Missionari che gli chiedevano perché non lo riparasse, rispondeva: - Il capomastro mi chiese più di 200 lire ed io non ho da pagar tanto -". (Silvestri, p. 214).

Un altro Missionario, pure contemporaneo, così compendiava l’attività e lo zelo di Mons. Fantosati.

"Si abbassò al popolo per intenderlo meglio, per meglio scoprire le sue piaghe e raccoglierne dappresso i sospiri e i gemiti e, usando dell’autorità datagli da Gesù Cristo, si pose a ristorarlo. Fece conoscere ai Sacerdoti lo spirito della legge, li indirizzò al sacrificio. Percosse col suo bastone di pastore gli sterpi dei vizi, delle corruttele, delle infamie morali e vide rifiorire il costume. Egli mise in pratica l’insegnamento di S. Girolamo: Sciat Episcopus sibi populum conservum esse non servum." (Piedilama).

 

c) Il superiore modello

È facile immaginare che tra tante occupazioni e preoccupazioni, tra le visite di cerimonia e le corse nelle cristianità, il Fantosati non avesse spesso neppure una sola ora libera per le sue occupazioni che, il più delle volte , doveva rimandare alla notte.

Ciò nonostante rimase sempre fedele e puntuale ai suoi doveri di Missionario e di Sacerdote.

"Benché – scrive il più volte ricordato Mons. Everaert – il Padre Antonino fosse sempre occupato nei progressi della Missione, pure non meno coltivava la pietà sacerdotale. Ogni giorno aveva il suo tempo stabilito per la meditazione e per la preparazione alla Messa e mai, se non costretto da necessità, permetteva di venir interrotto, e sempre a malincuore. Si alzava ordinariamente alle quattro e mezzo e dopo la meditazione ed una fervente preparazione diceva la Messa. Recitava quindi le Ore Canoniche e fatta colazione, si rimetteva al solito noioso lavoro di accomodar questioni, ricever visite."

"Dalla festa di S. Francesco sino al 26 Maggio 1900 – continua i Missionario del Hu-nan già ricordato – Mons. Fantosati rimase nella sua residenza di Hoang-scia-wan. Io raramente mi recavo colà e quindi anche di rado vedevo Monsignore. Mi era però noto il suo metodo di vita. Al mattino, circa le cinque, si alzava occupandosi nella meditazione e nelle preghiere; quindi celebrava, ordinariamente nella sua cappella, ma allorché la necessità lo richiedeva, andava nelle cristianità a supplire i Missionari assenti. Fatto il ringraziamento e presa la colazione, si chiudeva nel suo appartamento e non usciva se non per esigenze di affari. Interveniva sempre alla lettura spirituale in comune e il più delle volte la faceva lui. Dopo pranzo, verso l’una, rientrava di nuovo nella sua stanza ed alle volte, in questo tempo si portava all’orticello che coltivava da sé. Alle orazioni vespertine era sempre presente e dopo cena, fatta una breve conversazione, alle otto si dava il segno del silenzio ed egli, salutati i Missionari, saliva al suo appartamento. Alle nove si spegnevano i lumi degli ambulacri come ordine di quiete; egli però si coricava verso le dieci.

Questo era l’orario e perché fosse ben osservato, qualche volta di notte perlustrava la residenza.

Era molto oculato in tutto, imparziale e giusto con tutti, dava ragione a chi l’aveva e torto a chi se lo meritava. La fortezza nell’agire, mista alla prudenza, fu la sua prerogativa.

Fu coraggioso nella riforma del Seminario: migliorò i costumi del clero e tutto il vicariato fu restaurato in Cristo.

Sia adunque benedetta la sua memoria, sia in pace la sua dimora e in Sion la sua abitazione". (silvestri, p.214 e segg.)

Pochi lasciano tanto rimpianto e tanto desiderio di sé come il Fantosati. Tutti i Testi interrogati hanno risposto in sostanza come quell’umile operaio:

"Sono molto devoto al Vescovo Fan perché ho ricevuto da lui molti benefici sia per l’anima che per il corpo. Perciò di tanto in tanto recito un Pater, Ave e Gloria, desiderando molto la sua beatificazione, benché io stesso non sappia se le mie preghiere giovino a questo. (Summarium, p. 513).

 

d) La figura del Martire

Mons. Fantosati non era uomo di straordinarie qualità intellettuali. D’altronde, sballottato qua e là dalla rivoluzione spadroneggiante, non aveva potuto fare grandi studi; era però dotato di molto buon senso e le cognizioni acquistate alla scuola o sui libri erano più che sufficienti per imporsi anche intellettualmente alla Cina del 1900.

Prove della sua versatilità sono le molte chiese e case fatte o accomodate sotto la sua direzione, tanto nel Hu-pe come nel Hu-nan. Aveva poi una profonda conoscenza della lingua cinese, nella quale sapeva anche comporre, destando l’ammirazione degli stessi letterati confuciani.

Il Martire era di statura media e di costituzione assai robusta. Aveva la presenza maestosa di un apostolo, ma alquanto atteggiata a dolore nei suoi ultimi anni; folta e lunga barba e gli occhi profondi e intelligentissimi che incutevano riverenza e timore ai Missionari, i quali non osavano trasgredire i suoi ordini, anche sapendo che alla disobbedienza seguiva inevitabilmente la pena.

Avendo un giorno trovato disubbidiente un Missionario a lui molto caro, lo chiamò, gli ordinò di vestire l’abito francescano e: "Oh come siete bello –gli disse – con questa santa veste addosso! Ma anche depostala, non vi credete di essere dispensato dal primo voto della nostra santa Regola". (Silvestri, p. 218)

Terminiamo questa modesta Biografia del Martire colle parole del suo indivisibile compagno, tante volte citato P. Quirino Henfling: "Non dubito affatto – egli scrive – che l’atleta di Cristo non sia per ottenere anche in terra la gloria e gli onori dei Martiri di Cristo. Oh! Egli, di lassù, sia il protettore delle nostre Missioni ed interceda presso Dio perché questo popolo, ancora sepolto nelle tenebre e nell’ombra di morte, riconosca e adori Colui che egli gli annunziò con tanto zelo, suggellandone la divinità col suo sangue!" (Silvestri, p. 225).

Le speranze e i voti del pio e zelante Vicario Generale si sono avverati. L’aureola di Beato che cinge già la fronte del Martire e la Chiesa del Hu-nan, risorta più fiorente dalle sue rovine e ricca di operai e di opere, si avanza fiduciosa verso sempre nuove consolanti conquiste.

 

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